Hanno pedalato per 2.200 chilometri per dire basta alla mattanza degli animali. Per gridare che, laddove vi sono sofferenza e morte, non vi può essere cultura. Il carpigiano Paolo Balestrazzi, insieme agli amici Paolo Barbon e Cristiano Masi, ha sfidato il caldo asfissiante agostano per raggiungere la Spagna, teatro di terribili massacri quotidiani. La marcia per la vita su due ruote, Bike For Pets, è partita da Torino, l’11 agosto scorso, per dire no a due sanguinose piaghe: i massacri delle corride e, più in generale, della tauromachia, e delle perreras (canili), lager sovraffollati, sudici e dotati di forni crematori, di fatto anticamere di morte per centinaia di migliaia di cani ogni anno. “Il viaggio da Torino a Siviglia – ci racconta Paolo Balestrazzi – è durato 11 giorni. La nostra tabella di marcia prevedeva di percorrere mediamente 200 chilometri al giorno ed è stata rispettata, nonostante il caldo e il vento spesso avverso. Il tratto da Port-Vendres a Barcellona è stato durissimo: abbiamo pedalato sempre controvento”. I tre han percorso le strade di Italia, Francia e Spagna sulle proprie bici, scortati da un camper guidato dalle loro tre compagne: Vanessa, Rossana e Sandra. “Senza di loro non ce l’avremmo fatta. Sandra – continua Paolo – è stata fondamentale per me. Il suo sostegno è stato preziosissimo”. La marcia si è snodata attraverso varie tappe, davanti ai teatri dell’orrore. “A Beziers, insieme ai militanti di un’organizzazione animalista, abbiamo deposto una corona funebre davanti all’arena, durante lo svolgimento di una corrida; mentre a Port-Vendres, comune francese contrario alla tauromachia, situato nella regione della Linguadoca-Rossiglione, siamo stati calorosamente accolti dal sindaco. A Barcellona invece, davanti alla Plaza de Toros Monumental, oggi centro commerciale, culturale e sportivo, abbiamo conosciuto Christophe Thomas, un ragazzo che dedica la sua vita a salvare i tori dopo averne adottato uno, da un allevamento di animali da corrida, Fadjen. Tra i due è nata un’intesa straordinaria, che dimostra come un animale destinato all’arena, possa diventare un docile amico per l’uomo, se trattato con amore e rispetto. In Andalusia, nel comune di Almería, abbiamo partecipato a un incontro in piazza organizzato da un’associazione antitaurina e, infine, a Siviglia, davanti all’arena della Real Maestranza, abbiamo conosciuto i ragazzi della Pacma, il partito animalista spagnolo”. E la gente? Come ha reagito? “Il nostro viaggio – reso possibile anche grazie al contributo di Cicli Soprani, Asa e Vitamin Store – è nato per denunciare le carneficine che si consumano quotidianamente in Spagna – continua Balestrazzi – un paese che, pur facendo parte della Comunità europea, non muove un dito per fermare le torture perpetrate nei confronti degli animali. Ogni anno nel Paese vi sono oltre 3mila feste taurine: non esiste festa spagnola che non preveda l’uccisione cruenta di un animale. Parlare con la gente è spesso inutile, per molti spagnoli i tori sono nati solo per essere carne da macello nell’arena. Per loro la corrida è cultura. Intoccabile. Noi vorremmo che i turisti non fossero allettati dai prezzi stracciati dei biglietti delle corride e rifiutassero l’idea di assistere a queste mattanze. Se si svuotano le arene, se le corride non saranno più sufficientemente remunerative, allora, come in Catalunia, probabilmente questi spettacoli raccapriccianti e considerati eventi sportivi verranno aboliti”. Durante il viaggio, i tre hanno poi avuto il piacere di essere accolti dal gruppo di volontari Ayandena (www.asociacionayandena.org) e dai loro amici a quattro zampe, centinaia di cani e gatti riscattati dalle perreras e strappati alla morte. “Sono quattro angeli che vivono in un rifugio insieme a 150 cani e 100 gatti, grazie alle donazioni della gente. Al nostro arrivo siamo stati accolti dallo scodinzolio di una ventina di cani e ne abbiamo adottato uno che abbiamo poi affidato, al ritorno, a una famiglia genovese ma vogliamo continuare a sostenere il lavoro straordinario di questi volontari che, ogni giorno, combattono contro l’orrore delle perreras, luoghi nascosti e invalicabili, dove gente senza scrupoli lucra senza pietà sugli animali”. Dopo soli 10 giorni dall’ingresso nella perreras, qualora i cani non vengano adottati – cosa più che probabile vista la pressocchè totale assenza di sponsorizzazioni – vengono soppressi. Siano cuccioli o anziani, malati o sani, belli o brutti. E non c’è niente da fare. Questa è la legge. Ma la permanenza è ben più drammatica. In quei 10 giorni i cani vengono rinchiusi insieme e lasciati morire di fame. In poche parole non vengono considerati fino a che un laccio al collo non li porta verso quella che è l’ultima passeggiata della loro vita. I Comuni spagnoli pagano dai 60 agli 80 euro a cane per garantirne la soppressione. Uccisione che avviene nei modi più fanstasiosi. “La nostra marcia – conclude Paolo – ci ha permesso di toccare con mano sofferenza e brutalità. Quando vedi con i tuoi occhi cosa gli esseri umani sono capaci di fare agli animali, allora le lotte in Rete fatte fino a quel momento acquisiscono un nuovo significato. L’indignazione si accende più viva che mai e la lotta si fa ancora più consapevole”.
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