L’orgoglio ritrovato

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Il grido di rabbia dei 60mila cade a cavallo della staffetta tra Letta e Renzi a Palazzo Chigi, ma a Roma si ritrovano ugualmente perché non ne possono più come cittadini e come imprenditori. In Piazza del Popolo a far sentire la propria voce c’era anche una delegazione di Lapam Carpi: gli imprenditori al loro ritorno definiscono la giornata “impegnativa e pesante ma – dicono – ne è valsa la pena”.
Per Claudio Boccaletti di Costruzioni Boccaletti, “il segnale è arrivato forte e chiaro: i piccoli e medi imprenditori hanno esaurito energie e risorse in un Paese che non è più improntato all’impresa e non la favorisce. In quella piazza ho ritrovato il significato del fare impresa negli occhi di chi mi stava a fianco e, come me, pensa al futuro nostro, dei nostri figli e dell’Italia”. La manifestazione di piazza è riuscita, dunque, nell’intento di unire le forze per fare “massa critica”, come spiega l’imprenditore Riccardo Cavicchioli di Nuova Imballaggi Cavicchioli, che non ricorda un precedente del genere nella storia della piccola e media impresa.
“Per molti è stata la prima volta – commenta Enrico Gasparini di Fashion Dog – e questa manifestazione segna un punto di non ritorno. Dobbiamo chiudere le ditte e mettere tutti in cassa integrazione per costringere lo Stato a capire la situazione?”. Gli animi si surriscaldano nel ricordare il peso della pressione fiscale che nel nostro Paese si conferma il più alto d’Europa, pari al 67% dei profitti commerciali quando “a poche ore di auto, in Slovenia, il peso delle tasse sulle imprese si ferma al 20%: allora – dice arrabbiato Federico Poletti di Tessitura Florida rivolto alla politica – volete proprio che le imprese se ne vadano tutte all’estero”. “Come è possibile destinare – puntualizza ancora Poletti – risorse a investimenti e innovazione se lo Stato non ci lascia i soldi necessari?”.
“Ogni centesimo rimane sul territorio e viene qui reinvestito: una differenza sostanziale rispetto a chi ha deciso di delocalizzare abbandonando l’Italia”, precisa Boccaletti.
Oltre alla pressione fiscale, a complicare le cose più semplici del mondo, c’è la burocrazia. “Col terremoto – per Boccaletti – abbiamo raggiunto l’apice: per evitare che qualcuno potesse mettersi in tasca qualcosa, è stato creato un mostro, ma noi emiliani possiamo essere tacciati di tutto, non certo di essere degli spreconi che finora sono vissuti a spese dello Stato. Così la burocrazia ha vinto e, a farne le spese, è la povera gente. Non riusciamo a comprendere perché le cose vengano sempre complicate senza logica e senza vantaggio per nessuno”.
Sul capitolo del costo del lavoro si scatenano tutti i nostri interlocutori ribadendo che se in piazza i piccoli e medi imprenditori erano 60mila, in gioco ci sono almeno 800mila posti di lavoro dopo che negli ultimi cinque anni si sono persi 2 milioni di posti di lavoro. “Noi chiamiamo per nome i nostri dipendenti – si infiamma Poletti – e battagliamo tutto il giorno fianco a fianco. Stiamo parlando di imprese con una media di 4/5 addetti: non possiamo nemmeno permetterci di mettere in cassa integrazione un turnista perché non ci sarebbe nessuno a sostituirlo! Ad ammazzarci è il costo del lavoro: una busta paga da 2.600 euro si riduce a uno stipendio di 1.100 euro. Lo stesso dipendente costa 398 euro in Romania”. “Ma senza andare in Romania – aggiunge il segretario Lapam Stefano Cestari – vogliamo capire come è possibile che in Germania, a fronte di un compenso lordo più basso di quello italiano, in busta paga ci siano più soldi; mentre in Francia a fronte di stipendi alti, in busta paga si paghino meno contributi. Il risultato è che i dipendenti tedeschi e francesi si ritrovano in tasca più soldi da spendere. La strada verso un’Europa veramente unita è ancora molto lunga”.
“Le piccole e medie imprese hanno vissuto di consumi interni e oggi si ritrovano a terra perché si è fermato tutto il sistema” sottolineano gli imprenditori ribadendo che “la politica si deve rendere conto che senza imprese questo Paese è finito”.
Sara Gelli
 

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