Secondo quanto recita un proverbio indiano, è viaggiando alla scoperta dei paesi che è possibile trovare il continente in se stessi: questa massima racchiude efficacemente l’avventura di Giovanni Crivellaro. Psicologo, trauma specialist e coach trainer di origini milanesi trapiantato a Carpi, mentre nel 2012 il sisma attraversava fisicamente l’Emilia, Giovanni, alla soglia dei sessant’anni, ha vissuto una serie di terremoti emotivi, dalla morte del padre alla separazione dalla compagna, passando per il matrimonio del figlio. Eventi che lo hanno portato a riflettere su di sé. In occasione di una visita alla madre le chiese quale fosse, dopo 88 anni di esperienza, la lezione più importante che la vita le aveva impartito: “Non avere rimpianti”. Complici anche queste parole, che continuavano a ronzargli in testa, Giovanni ha compreso che uno dei suoi più grandi desideri era quello di conoscere il mondo, direttamente. Da allora, dopo aver studiato un poco di inglese e aver chiuso alcuni corsi, si è dedicato a viaggi che lo hanno portato ai quattro angoli del globo: dall’Africa a Capo Nord, dall’Europa agli Stati Uniti. Ma quello più importante di tutti doveva ancora cominciare. “Avevo deciso di recarmi in Australia – spiega – quando mi capitò di ascoltare i racconti di un mio collega che ha sposato una donna laotiana. A quel punto ho deciso che avrei girato l’Indocina”. Partito il 21 gennaio di quest’anno, dopo aver girato Thailandia, Laos, Vietnam e Cambogia ha fatto ritorno in città a marzo. Oltre alla durata, è però un’altra la particolarità del viaggio: Giovanni l’ha compiuto da solo, senza prenotare nulla. “Viaggiare da soli è come avere se stessi come compagni di viaggio. Non sono dovuto scendere a compromessi, sono stato libero di seguire il mio istinto, di fermarmi in un luogo quanto volevo, così come di ripartire senza essere obbligato a seguire un itinerario prefissato o una tempistica stringente”. Ovviamente, la libertà porta con sé anche una maggiore insicurezza: “ad Hanoi, la capitale del Vietnam, sono arrivato a mezzanotte, senza conoscere nessuno e senza aver riservato alcun posto per passare la notte, ma se resti aperto alla curiosità, te la cavi sempre. Non ho mai avuto paura, pur girando in lungo e in largo questi Paesi e avendo del denaro con me”. E di strada ne ha fatta parecchia, trascorrendo intere nottate sugli sleeping bus, come nel tragitto di 30 ore che da Luang Prabang, nel Laos, lo ha condotto in Vietnam. Sì, perché un’altra delle ‘regole’ che Giovanni si è dato, è stata quella di immergersi nella vita degli abitanti di questo magico angolo di mondo, di adattarsi a usi e costumi, unica modalità per cercare di conoscere realmente le realtà che si incontrano, cibo e modalità di viaggio comprese. “Think global, eat local – pensa globale, mangia locale – questo è il mio motto. Un’altra delle caratteristiche del viaggio in solitaria è che, non essendo costretto a scambiare opinioni con i tuoi compagni ‘obbligati’ di viaggio, se desideri farlo devi per forza confrontarti con chi non conosci”. Ed è così che avviene l’incontro con l’Altro, con centinaia di persone con le quali ci si imbatte per un tratto di strada. Sempre pronti ad ascoltare nuove storie, a carpire altre vite, esperienze, passioni, a lasciarsi colmare dalla caleidoscopica varietà del mondo: “In questo viaggio ho compreso sulla mia pelle il concetto di flusso, del lasciarsi trasportare. Il punto è immergersi in una realtà altra per emergere cambiati, arricchiti. Ovviamente occorre il coraggio di aprirsi, lasciarsi catturare dalle storie che si ascoltano, ma facendo questo si misurano anche i propri limiti. In un certo senso, attraverso gli altri, si incontra anche se stessi”. Dopo aver navigato per fiumi immensi, aver incontrato monaci buddisti che all’alba girano per la città chiedendo offerte, soggiornato in un centro di cura per elefanti, visto le rovine del tempio di Angkor Wat emergere dal folto della giungla, essersi lasciato incantare dal maestoso spettacolo della natura del Laos così come dalla caotica frenesia del Vietnam, Giovanni invita tutti a viaggiare, perché “il mondo è davvero vasto, un po’ di più della Bassa, dell’Italia o dell’Europa stessa. E proprio viaggiando mi sono reso conto di come noi, in confronto a questi Paesi, siamo vecchi, statici, iperprotettivi e pieni di paure”. Viaggiare è anche un modo per capire come lasciarsi andare e avere il coraggio di conoscere una verità sempre provvisoria, dinamica, cangiante: sino al viaggio successivo.
Marcello Marchesini