“Non arrendiamoci alla paura”

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“Più di ogni altra cosa ricordo gli occhi terrorizzati di una donna che non voleva abbandonare la propria casa e continuava a ripeterci che lei voleva morire lì”. Sono immagini fugaci, a volte dettagli irrisori, quelli che si piantano nella nostra mente. Ricordi, quelli rievocati dall’ingegner Corrado Faglioni, presidente di Enerplan, d’un tempo che pare lontanissimo. “Il terremoto del 29 maggio ha lasciato segni indelebili nella vita e nella storia delle comunità della Bassa modenese. Secoli di storia sono stati lacerati in pochi istanti destinati a incidere profondamente negli edifici storici, nelle case, nei luoghi di lavoro e nella vita delle persone. In occasione della terza ricorrenza di tale spaventoso evento, la quale coincide anche con il 15° anniversario dalla fondazione di Enerplan, abbiamo voluto presentare ricostruzionemilia da 5.9 a 0: un libro che racconta per immagini la nostra storia, un cammino di ricostruzione che, partito da quei terribili momenti di disorientamento, ci ha condotto a riprendere una vita normale”. Presentato all’interno della splendida Sala del Seicento, riqualificata dallo studio Enerplan dopo il sisma, il volume rammenta a ciascuno di noi che dalla rovina possono sorgere nuovamente speranza e bellezza.
Aldilà di ogni umana paura. “Abbiamo cercato – prosegue l’ingegner Faglioni – poche ore dopo il sisma di non arrenderci alla paura. Al contrario ci siamo immediatamente messi al servizio del territorio, registrando danni, concedendo agibilità o interdicendo case e luoghi di lavoro pericolosi. Abbiamo viaggiato a folli velocità: una lotta contro il tempo”. A causa dell’inagibilità della propria sede, Faglioni e la sua squadra hanno lavorato in trasferta per oltre un anno ad Avio di Trento: “non ci siamo neppure accorti delle corse fatte, quasi in apnea, per la ricostruzione di tanti edifici e così è nata in noi l’idea di documentare il nostro lavoro, con l’aiuto del fotografo Marco Lugli, raccogliendo le immagini del nostro cammino professionale e umano. Un modo per fare memoria, per ricordare insieme alla comunità, quanto questo tragico evento abbia scosso le nostre anime. Abbia rivoluzionato le nostre priorità, ricordandoci la caducità delle cose. Il messaggio che vogliamo consegnare a futura memoria – conclude Corrado Faglioni – deve essere anche la testimonianza di una fede assoluta nel voler vincere la paura, perchè anche di fronte alle più grandi avversità della vita non ci si può far annichilire dal terrore, il quale non deve mai farci arrendere o renderci impotenti. Anche oggi su di noi si addensano nubi pericolose: la crisi economica, le difficoltà finanziarie delle famiglie, la paura del futuro possono costituire a loro volta, altri subdoli terremoti. Ricordiamoci però cosa siamo stati in grado di superare insieme: ogni avversità può essere vinta stringendoci in un abbraccio fraterno e lavorando con determinazione e volontà”.
Ricostruzione è la parola chiave. Dei muri e delle anime. Un percorso “lento, faticoso, lungo. Ma fattibile”, ha poi sottolineato il vescovo di Carpi, monsignor Francesco Cavina. “Perchè laddove vi è la volontà di lavorare uniti, allora è possibile fare qualcosa di grande e significativo. La ricostruzione – ha concluso il vescovo – è possibile se continueremo a camminare insieme”. “In questi tre anni ci siamo confrontati con una gamma enorme di progetti – ha spiegato l’ingegner Fabio Torrebruno – ma il mio preferito resta il miglioramento sismico. Un edificio rafforzato sismicamente è capace di resistere alle sollecitazioni e di salvare la vita a coloro che vi abitano. La nostra speranza è che il processo di ricostruzione del nostro territorio ci restituisca edifici e persone migliori”.
La ricostruzione post sisma cammina a piccoli passi e ancora molto – forse troppo – resta da fare: ricostruzionemilia da 5.9 a 0 fa germogliare in noi un seme di speranza. Molti luoghi hanno ricominciato a ospitare la vita, testimoni dei nostri passi. Immortalate da Marco Lugli, le ferite inferte dal terremoto ci parlano anche, paradossalmente, di bellezza: “basta guardare con rispetto al valore che le cose distrutte hanno avuto e hanno per le persone: essere compartecipi della loro sofferenza. Basta guardare verso ciò che il cantiere rappresenta per il futuro della gente. Mi sono chiesto spesso durante questo lavoro di documentazione – ha sottolineato Lugli – come poter conciliare la soddisfazione professionale con il dramma che stavo immortalando, come riuscire a profanare l’intimità delle case abbandonate a causa della violenza del sisma. E’ stato un viaggio intimo e umano profondo, costellato di incontri – pochi – straordinari. Tecnici, pompieri… persone che mi hanno dato l’energia necessaria per portare a termine il mio compito, fatto perlopiù in solitudine. Ho imparato che la tragedia è di tutti e che una casa, seppur fortemente lesionata, non dev’essere abbattuta ma salvata a ogni costo, perchè tornare nella propria casa significa tornare ad abitare la propria vita”.
Jessica Bianchi
 

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