Matite, carte, vasetti di colore, pennelli. E fantasia. Eccolo il mondo dell’illustratrice per l’infanzia Vittoria Facchini. Amatissima da grandi e piccini, per quella carica di energia dirompente e dissacrante che caratterizza lo stile dei suoi disegni, sarà ospite della Festa del Racconto, sabato 3 ottobre, alle 11, nel Cortile del Ninfeo. Le chiediamo:
Che storie amava da bambina?
“Non me lo ricordo bene bene, ma credo, di sicuro, le storie di bambine e bambini a cui il destino (loro malgrado!) giocava qualche scherzo triste e assai ingiusto ma che poi, grazie al loro garbo e a quello di certe buone persone grandi, si riscattavano. Ricordo di aver letto almeno sei volte La piccola principessa di Frances Hodgson Burnett e almeno altrettante Senza famiglia di Hector Malot. Ricordo bene che a ogni ri-lettura (in quelle edizioni con pochissime illustrazioni una ogni tante pagine scritte) giù lacrimoni che non mi facevano vedere troppo bene quelle così poche figure. Poi decisamente qualcosa è cambiato, quando sono stata un po’ più grande ho incontrato (incontro che mi ha fulminato!) e imparato (leggendo) un po’ per volta a snidare l’ironia intelligente e caleidoscopica di Rodari (Favole al telefono, La torta in cielo, C’era due volte il Barone Lamberto, Il gioco dei quattro cantoni). E’ stato un amore così grande, fatto di sorrisi e impagabili arguzie che mi facevano sorridere. E anche piangere, ma in modo diverso… Comunque di sicuro il mio libro del cuore rimane Pinocchio. No, bugia, anche Il gioco dei 4 cantoni… E, dal 2003 che è l’anno in cui è uscito nelle impagabili edizioni Être, La grand question di quella meraviglia di uomo e di autore – illustratore che è Wolf Erlbruch. Sì, un coup de foudre”.
Che libro c’è oggi sul suo comodino?
“Allora: tra i non fissi, Lo specchio di Carlo Levi edito da Donzelli, Vita di San Francesco e Trattato dei miracoli di Tommaso da Celano, Opere di Guido Gozzano, Pensare in immagini di Temple Grandin, moltissimi erbari illustrati. Tra i fissi fissi, cioè quelli che non sposto mai e che stanno sempre con me e il mio comodino e si riempiono di polvere se non spolvero spesso o si ricoprono di una moltitudine di fogli di appunti e schizzi nati notturni e di mozziconi di matite e ciottoli e semi e foglie che tiro fuori dalla tasca dei pantaloni prima di andare a dormire ci sono: Storie inedite del piccolo Nicolas di René Goscinny e Jean-Jacques Sempé pubblicate in Italia da Donzelli, La grammatica della fantasia di Gianni Rodari pubblicata da Einaudi, Tout un monde, Au jardin, A table! di Antonin Louchard e Katy Couprie pubblicati da Thierry Magnier. Sfogliati e risfogliati, questi ultimi, fino a consumarne la carta. Poi su di uno spazio prezioso, l’equivalente di un comodino, situato sulla mia ingombra scrivania, insieme a un un catalogo del Mantegna, a Guizzino e Pezzettino di Lionni, l’onnipresente La grand question che ho menzionato prima. Non c’è nessun lavoro che io inizi senza aver prima sfogliato molte delle sue pagine. Una sorta di rito propiziatorio che fa bene alla mia anima tormentata di illustratrice mai quieta”.
Ricorda chi le regalò il suo primo astuccio di colori?
“Per sempre lo ricorderò! Mia mamma, lei! E anche quei colori li ricorderò per sempre: erano pennarelli a spirito marca Carosello, odoravano di orzata e avevano l’asta del pennarello pieno zeppo di pois bianchi e il bordo del tappo tutto ondulato echiseloscordapiù! Da allora chilate di tanti altri colori sempre per mano di mia mamma e di tanti altri preziosissimi generosissimi fornitori”.
Quanto è stato importante nella sua formazione l’incontro col maestro Lele Luzzati?
“Fondamentale, lo racconto sempre e a chiunque. E lo ri-racconto spesso anche a me. Io allora credevo di non poter fare l’illustratrice per via di questo mio segno spesso, grosso, sgrammaticato, disarticolato, apparentemente poco adatto, e per un’editoria per bambini “poco buono e giusto”. Quando lui durante una lezione ci invitò (per sciogliere i nostri evidenti blocchi) a fare dei brutti disegni (ovvero espressivi, dinamici, vivi, affini davvero al carattere dei personaggi che dovevano rappresentare e soprattutto assolutamente non ieratici) il mio segno capì cosa voleva dire quel maestro con quegli occhi così vivi, capì che poteva diventare assai buono e persino giusto, anche per l’editoria per bambini”.
Parola e immagine: cos’è più potente?
“Quando leggo, ascolto, origlio, assaggio e guardo parole dette così bene da farmi dire avrei voluto scriverle, dirle in quella sequenza lì e non in un’altra pure io, capisco che sono di fronte a una potenza così potente che per un attimo mi scordo della potenza dell’immagine. Stessa cosa quando leggo, ascolto, origlio, assaggio e guardo colori, forme, segni e punti fatti così bene, in modo potente”.
Come si può far innamorare i bambini della lettura?
“Non solo della lettura ma di qualsiasi cosa preziosa davvero, essere noi, noi prima di tutto disinvoltamente, gustosamente, quotidianamente in quella cosa… così l’esempio passa attraverso, come dire, attraverso la pelle”.
Cosa le piacerebbe illustrare che ancora non ha fatto?
“Al momento lo sanno solo in pochissimi, (vabbè forse dopo l’intervista non saranno più pochissimi) dei bambini che mi hanno fatto questa stessa domanda un giorno durante un incontro nella biblioteca di Sassuolo e una bravissima autrice italiana che ammiro molto e alla quale tre anni fa avevo chiesto di affidarmi un suo testo su questo tema che mi interessava perché avevo urgenza di affrontarlo con segni e colore. Lei me lo aveva mandato subito. Un testo bellissimo ma… ma ho ancora la maquette a matita fatta di getto lì sulla scrivania. E dopo tre anni non sono ancora riuscita a trovare il coraggio di mostrarla all’autrice e iniziare a dare a questo progetto un seguito mettendoci dentro colore ed energia creativa. Ma lo farò… Il tema di questo progetto è la morte. Mi piacerebbe riuscire a fare un albo illustrato sulla morte. No, non sarà né nero, né triste. Solo empaticamente vero, spero”.
Jessica Bianchi