Pazienti in corridoio e operatori al collasso

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Correva l’anno 2014. All’ospedale di Carpi, come in ogni inaugurazione che si rispetti, non mancava nessuno, dal gotha della politica a quello della sanità. L’occasione era ghiotta: presentare il nuovo look del Pronto Soccorso cittadino. A stringersi mani e a scambiarsi pacche sulle spalle per le sedici nuove degenze, il triage e un’area accoglienza completamente rinnovati c’erano proprio tutti. “La sanità tiene. Malgrado la crisi economica e nonostante il sisma, il sistema sociale della nostra città ha resistito e il diritto alla salute è garantito. Il Ramazzini oggi rafforza il proprio ruolo di ospedale di riferimento dell’Area Nord della provincia”, aveva sentenziato l’ex sindaco di Carpi, Enrico Campedelli. Nel progetto originale, il nuovo Pronto Soccorso avrebbe dovuto ospitare “16 posti letto: 6 dedicati alla Nefrologia e 10 a Medicina d’Urgenza e Osservazione Breve e Intensiva”. Ce lo avevano presentato come una vera e propria rivoluzione. Uno strumento prezioso per tutelare la salute dei cittadini e, invece, ci troviamo di fronte all’ennesima occasione sprecata. Stiamo parlando dell’Obi – Osservazione Breve Intensiva: “una particolare articolazione organizzativa che consente una migliore valutazione dei pazienti, esercitando una funzione di filtro per ridurre i ricoveri non appropriati e per dimettere in sicurezza i pazienti che vi accedono. In questa area alcuni pazienti con patologie predefinite (dolore toracico, trauma cranico minore, aritmie…) vengono tenuti in osservazione per un tempo compreso fra le 6 e 24 ore ed effettuano indagini diagnostiche multiple per stabilire la necessità di ricovero o la possibile dimissione”.  Sulla carta tutto appare perfetto ma, in sanità, si sa, le cose non sono mai come appaiono. L’intervento (complessivamente gli investimenti per la realizzazione delle nuove degenze e la completa ristrutturazione del Pronto Soccorso ammontavano a 2.800.000 euro, di cui 900mila messi a disposizione dalla Fondazione CR Carpi) avrebbe dovuto “mettere a disposizione di pazienti e medici, spazi più moderni, attrezzature rinnovate e maggiore efficienza. Il nuovo assetto funzionale del Pronto Soccorso si articola infatti in aree organizzate per percorsi assistenziali specifici a seconda delle condizioni cliniche dei pazienti”. La realtà però è ben diversa e non fa certo rima con efficienza e comodità: all’Obi sono stati destinati 6 letti, alla Medicina d’urgenza e Nefrologia 4, mentre all’Oti – Osservazione temporanea intensiva è stata destinata una stanza nella quale stanno al massimo quattro barelle. Riempiti quegli spazi, tutti i pazienti (ricordiamo che gli accessi al  Pronto Soccorso di Carpi sono oltre 45mila l’anno e superano persino quelli dell’Ospedale di Baggiovara) che dopo una prima visita necessitano di accertamenti ulteriori e terapie vengono parcheggiati lungo il corridoio per mancanza di spazio, persino davanti alle uscite di emergenza e non è raro che chi attende gli esiti degli esami venga fatto accomodare in sala d’attesa per liberare i posti. Gli operatori sono costretti a muoversi in spazi estremamente ridotti e i malati lasciati alla mercè degli sguardi indiscreti di chi transita. Ma a mancare, in Pronto Soccorso, oltre agli spazi, talmente inappropriati da impedire uno smaltimento efficiente dei cittadini in sala attesa, sono le risorse umane: infermieri e Oss, operatori socio-sanitari. Una carenza cronica che rende i ritmi di lavoro insostenibili. Operatori al collasso che, nelle scorse settimane, hanno lanciato un grido d’allarme alle istituzioni: “vogliamo lavorare in sicurezza per garantire sicurezza ai cittadini”.
Come si possono curare le persone se gli stessi operatori non riescono a usufruire dei riposi stabiliti per legge tra un turno e l’altro? Come possono essere garantite qualità e tempestività dell’Emergenza – Urgenza se l’equipe che vi opera è stremata a causa di una distribuzione disomogenea dei turni di lavoro?  Non sono i muri a fare una buona sanità, bensì uomini e donne preparati. Personale qualificato che ha a cuore la salute dei più fragili. Medici, infermieri e Oss (costretti persino a fare i barellieri) devono essere tutelati e sostenuti affinché possano dare il meglio di sé.
Oggi non è così. E questo si ripercuote negativamente sulla loro salute e sulla nostra. In tutta la Provincia si registra un generalizzato aumento del numero di accessi al Pronto Soccorso a cui non corrisponde un congruo incremento del personale ma un’organizzazione non efficiente comporta un allungamento dell’attesa per l’utenza e un abbassamento della qualità del servizio erogato.
La centralità del 118 e dei Pronto Soccorso nel sistema sanitario provinciale deve prevedere un preciso impegno politico per un’adeguata disponibilità di risorse umane e tecnologiche (barelle e carrozzine sono talmente obsolete da cascare letteralmente a pezzi).  
“I numeri del Pronto Soccorso – sottolinea il sindaco Alberto Bellelli, nonché copresidente della Conferenza territoriale sociale e sanitaria della provincia di Modena (Ctss) – richiedono un’organizzazione consona e in grado di farvi fronte”.
Il Partito democratico di Carpi ha depositato un’interrogazione comunale per conoscere la situazione di uomini, mezzi e tipologia di organizzazione del Pronto soccorso dell’Ospedale di Carpi (il Pd ha chiesto di conoscere “quale sia l’organico del personale a disposizione e quali le condizioni delle ambulanze. Vorremmo capire se si ritiene che l’organico sia sufficiente e se sia sottoposto a carichi di lavoro compatibili con il livello di servizio ed efficienza richiesto dal settore, se i protocolli della emergenza/urgenza territoriale rispondano al meglio alle esigenze del nostro territorio, e se sono previste nuove attività per la struttura”) alla quale l’Azienda è stata chiamata a rispondere nei prossimi giorni in Consiglio.
“Pretendere che il nostro ospedale funzioni è al centro del nostro interesse: da un lato è fondamentale rafforzare le risorse umane in campo e, allo stesso tempo, è necessario tentare di deospedalizzare i codici bianchi che affollano il Pronto Soccorso attraverso l’istituzione della Casa della Salute”, conclude il sindaco.
La sanità pubblica, anche nel nostro territorio, comincia a vacillare. L’ospedale di Carpi si sta depauperando sempre più, i professionisti che vi operano sono spremuti come limoni: chi può fugge mentre chi resta è schiacciato dagli inumani carichi di lavoro a cui è sottoposto quotidianamente. E’ ora che la politica li guardi negli occhi e offra loro risposte.
Jessica Bianchi