L’avventura squisitamente emiliano-romagnola dei Cau (Centri di assistenza e urgenza) e presentata dall’ex assessore regionale Raffaele Donini come una vera e propria rivoluzione in grado di alleggerire la pressione sui Pronto Soccorso, sommersi di codici a bassa intensità assistenziale, ha spento una candelina ma, a un anno dalla partenza, è ora al centro di una seria “valutazione” da parte della nuova Giunta regionale.
“Ci siamo presi questi tre mesi di sospensione per valutare l’efficacia del funzionamento dei Cau e l’obiettivo finale è quello di andare verso le Aggregazioni funzionali territoriali H24 nelle case della comunità” ha spiegato il neo assessore alle Politiche sanitarie Massimo Fabi. L’esperienza non è dunque giunta al capolinea ma, di certo, subirà una profonda revisione. Quale futuro dunque per i 42 Centri di assistenza e urgenza aperti nella nostra Regione, ivi compreso quello attivato all’interno dell’Ospedale Ramazzini di Carpi?
Assessore Fabi, è trascorso un anno dall’avvio dei CAU. Come valuta tale esperienza e quali sono le criticità emerse? La loro messa in discussione è globale o vi sono dei centri in particolare che non hanno dato i risultati auspicati?
“A più di un anno dall’avvio dei CAU, il giudizio complessivo è sicuramente positivo. È stata una innovazione importante che ha riguardato tipologie diverse di realizzazione che possiamo riassumere fondamentalmente in tre. Ci sono centri assistenza e urgenza che hanno di fatto sostituito o sono subentrati ai cosiddetti punti di primo intervento ospedalieri che avevano la caratteristica fondamentale di gestire complessità di livello medio o basso, per intenderci i codici bianchi e verdi dei pronto soccorso, con del personale altamente qualificato, non di pertinenza territoriale che hanno avuto un buon funzionamento, soprattutto nella parte est della nostra regione. Poi ci sono quei Cau che hanno affiancato i Pronto soccorso dei grandi policlinici: dall’ospedale di Piacenza al Policlinico di Parma, dall’ospedale di Fidenza al Maggiore e al Sant’Orsola di Bologna. In questi casi registriamo due tipologie di risultato piuttosto diverse tra loro. I Cau attivati a Piacenza, Fidenza e Parma sono riusciti a drenare non solamente gli accessi di codice bianco e codice verde, ma complessivamente la totalità degli accessi in Ps fino a quasi il 50%. Sull’area bolognese hanno dato dei buoni risultati ma non alla pari dei precedenti. Infine la terza tipologia di CAU è quella collocata all’interno delle Case della comunità, ovvero laddove non esistevano ambulatori qualificati per la risposta in urgenza. La finalità ultima è quella di realizzare all’interno di questi luoghi delle AFT – Aggregazioni funzionali territoriali, ovvero quelle forme associative di medici che già hanno preso piede e si sono sviluppate, anche queste in maniera disomogenea sul territorio regionale, ma con esiti di assoluta efficacia all’interno delle case della comunità. Questi ambulatori per l’urgenza, le AFT H24, riuniranno medici di medicina generale, medici di guardia medica, pediatri di libera scelta e tutte quelle professioni sanitarie per svolgere un’attività integrata in urgenza strettamente collegata con le attività complesse e i percorsi diagnostico-terapeutici nell’area delle cure primarie. Ci siamo presi questi tre mesi di sospensione per valutare l’efficacia del funzionamento dei Cau e l’obiettivo finale, come ripeto, è quello di andare verso le AFTH 24 nelle case della comunità”.
Sono prevista delle chiusure di Cau collocati all’interno degli ospedali? La normativa nazionale prevede e punta alle Aggregazioni funzionali territoriali composte da medici di famiglia, pediatri e medici a quota oraria reperibili 24 ore su 24. Un tema caldo, dal momento che vi è una forte carenza di medici di medicina generale.
“Non è prevista alcuna chiusura. Noi oggi non stiamo teorizzando la chiusura di un’esperienza che ha dato risultati positivi bensì stiamo valutando le differenze di risultato. Pensiamo in particolare ai CAU che hanno affiancato i Pronto soccorso dei grossi policlinici: alcuni hanno funzionato bene e altri meno bene, stiamo valutando il perchè di tali differenze per poter adottare i necessari miglioramenti. Sui centri assistenza urgenza collocati all’interno delle case della comunità, l’evoluzione naturale sarà il subentro delle AFT H24 non solo perché è definito dal contratto collettivo nazionale dei medici di medicina generale, ma perché è l’orientamento complessivo dell’intero sistema. Teniamo poi presente che il numero unico 116 117 che sarà operativo entro la fine del 2025, rappresenterà un punto di riferimento importante per i cittadini che verranno orientati per le prestazioni urgenti nel luogo più prossimo al proprio domicilio, dove poter avere le prestazioni specialistiche e di cure primarie necessarie rispetto al bisogno. Quella sarà la vera rivoluzione di sistema”.
Sono numerosi i Pronto soccorso sottodimensionati rispetto ai bisogni. C’è l’intenzione di potenziarli attraverso maggiori risorse sia economiche che in termini di personale?
“E’ quello che vogliamo. Gli operatori di Pronto soccorso, medici e infermieri, che hanno lo stesso contratto collettivo nazionale di lavoro dei dipendenti del servizio sanitario nazionale, in questo momento hanno trattamenti economici sovrapponibili a quelli colleghi che svolgono funzioni molto diverse. Occorre riconoscere, e noi ci stiamo battendo a ogni livello in tal senso, a coloro che lavorano nelle funzioni più critiche, e il pronto soccorso è una di queste, una remunerazione maggiore. Una battaglia di civiltà che vogliamo portare avanti. Contestualmente resta aperta la possibilità di assumere personale medico e infermieristico in quell’ambito, pur tenendo presente che in questo momento siamo di fronte a una oggettiva carenza di personale infermieristico e i concorsi non riescono ad avere come risultato l’acquisizione di personale numericamente sufficiente. Ragionamento diverso invece per quanto attiene la dirigenza medica, in questo caso vi è una carenza relativa, nei prossimi due o tre anni la programmazione universitaria ci metterà di fronte a una disponibilità di profili medici assolutamente adeguata. Il problema è che coloro che vorranno dedicarsi all’urgenza continueranno a essere pochi e dunque occorre un intervento di sistema. I professionisti che lavorano in Pronto soccorso devono essere pagati di più”.
Jessica Bianchi