Quella tra il 12 e il 13 dicembre è una notte magica. Di trepidante attesa. E’ la notte in cui Santa Lucia in groppa al suo asinello porta doni ai più piccini, quello buoni ovviamente. I bambini prima di andare a letto lasciano un piatto di farina per l’asinello e una tazza di latte ma anche biscotti, vino e arance per lei. Dopodiché corrono a dormire perché i bimbi svegli che per caso riescono a scorgere la Santa riceveranno una manciata di cenere negli occhi che impedirà loro non solo di vedere, ma anche di ricordarla la mattina dopo. Al loro risveglio poi, i bambini trovano il piatto con le arance e i biscotti consumati, ma arricchito di caramelle e monete di cioccolato e, nascosti nella casa, i doni che avevano richiesto. Una tradizione antica che si ripete nella nostra città da tempo immemore perché, qui, a Carpi, a differenza del resto del modenese, il culto della santa protettrice degli occhi, degli elettricisti e degli scalpellini, è fortemente radicato. Alzi la mano chi non conosce l’adagio Saanta Lucìa, la nòot più lunnga ch a s èggh sìa, detto che risale a quando era in vigore il calendario Giuliano, promulgato da Giulio Cesare il 46 a.C., in cui il solstizio d’inverno cadeva proprio il 13 dicembre. Ma come veniva celebrato il culto della “santa della luce” dai nostri nonni e bisnonni? A raccogliere preziose testimonianze della Carpi di ieri ci hanno pensato Luciana Nora e Mauro D’Orazi che scrivono: “A Carpi il ciclo delle tradizionali feste natalizie era, e continua ad essere, anticipato dall’antica, molto sentita e osservata celebrazione di Santa Lucia… In quel giorno, presso la Chiesa di San Francesco a Carpi, veniva celebrata più di una messa, cui partecipavano non solo gli abitanti della città, ma anche quelli provenienti dalle varie frazioni”. Irne Galloni, di professione partitante del truciolo in contrada San Francesco, ricorda come “Per Santa Lucia venivano anche dalla campagna, che l’han sempre festeggiata. Quella lì era una festa per loro… per venire a Carpi, per fare un giro sotto i portici, andare a vedere le vetrine… Mia sorella teneva aperto fino alle dieci di sera, perché la gente delle frazioni veniva via dalla benedizione in chiesa e, prima di andare a casa, venivano a prendere le paglie…”.
“Per trovare posto a sedere – dice Lara Daloli – era necessario arrivare con largo anticipo! Dopo la Messa era d’obbligo il passaggio alla pesca! La pesca si teneva nei locali della canonica, si pagava per poter pescare un biglietto (piegato o arrotolato), il numero riportato corrispondeva a un oggetto che costituiva la vincita. La pesca è stata organizzata fino al terremoto del 2012”.
Ma cosa portava Santa Lucia ai bimbi buoni?
“Poche cose – commenta Luisa Pozzetti, originaria di Fossoli – perché eravamo poveri; veniva per i più piccoli. I regali erano come quelli della Befana: un pezzo di gnocco di castagne, un cartoccino di noccioline americane (mericaani), un po’ di castagne secche, raramente un giocattolo…”.
“I giocattoli – ricorda Adorina Gualdi – si sognavano. Si andava davanti alla vetrina di Dindino in Corso Alberto Pio, dove erano esposti i giocattoli, che però potevano comperare solo i signori e si diceva: – Da ché a ché, è tutt mio! – Ma era solo un sogno”.
E anche se, alla faccia della rima, quella di San Lucia non è la notte più lunga che ci sia, la tradizione resiste e anche quest’anno, i bimbi carpigiani, dopo aver scritto le loro letterine piene di desideri, attenderanno che la santa e il suo fedele asinello portino loro dolciumi e giocattoli.
A cura di Jessica Bianchi