Disagio mentale: il percorso a ostacoli per garantire una vita dignitosa

Non è sufficiente il contributo in denaro: è fondamentale offrire un servizio vero e concreto senza compiacere il volere ‘malato’ del soggetto ma cercando di veicolarlo mediando, per arrivare a garantirgli un livello di vita dignitoso.

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Spesso è troppo facile trincerarsi dietro l’assenza di risorse o di sovvenzioni statali. In molti settori le risorse a disposizione ci sono, ma da sole non bastano e non sempre sono impiegate per rispondere all’obiettivo. È fondamentale che le modalità di utilizzo delle risorse consentano alle persone di percepirne i benefici e questo può avvenire solo quando coloro che si occupano della gestione di chi ha bisogno riescono a superare le difficoltà per garantire una qualità di vita dignitosa a chi ha difficoltà a curare i propri interessi. Nel caso in questione, una persona adulta con disturbo mentale patisce inconsapevolmente l’assenza di chi dovrebbe aiutarla nelle attività di vita quotidiana. Il risultato della collaborazione non è soddisfacente se ad agosto non può contare su nessuno che la possa accompagnare assistendola nel fare la spesa.

La sua vita è cambiata nel periodo della pandemia: la rottura della routine casa-lavoro è stata il varco attraverso il quale la patologia si è fatta strada emergendo con prepotenza al punto da determinare un crollo e il ricovero fino a un anno e mezzo fa quando, sollecitato dall’Ausl, il giudice ha nominato un avvocato come amministratore di sostegno a tutela della persona dichiarata non autonoma. Non lo sarà mai più, eppure vive nella convinzione di aver intrapreso un percorso riabilitativo e di poter tornare un giorno al lavoro.

Il Centro di salute mentale, dopo un paio di mesi in un appartamento protetto gestito da una cooperativa, le ha dato il via libera per tornare a vivere a casa sua, ma questa scelta ha comportato conseguenze di cui un amministratore di sostegno non può non tenere conto anche se gli competerebbe solo la gestione della parte economica e patrimoniale: il peso della responsabilità di ciò che potrebbe accadere ricade solo sulla signora ma tutte le figure professionali che ruotano intorno a lei (il Centro di salute mentale, la cooperativa con le terapiste di riabilitazione psichiatrica a cui il Csm si affida, le educatrici professionali, il medico di base, le assistenti sociali, lo psichiatra, l’amministratore di sostegno) devono fare sempre la loro parte per costruire insieme un percorso riabilitativo idoneo.

Inizialmente era stato stabilito un percorso nel quale si era ritenuta sufficiente un’assistenza quotidiana per introdurla a una vita quasi regolare: una persona, individuata dall’amministratore di sostegno attraverso un’agenzia, che le dedicasse un’ora ogni mattina assicurandosi che si alzasse ad orari pressoché regolari, si lavasse, si vestisse, assumesse la corretta terapia farmacologica, facesse colazione e provasse a pulire la casa. Al pomeriggio la cooperativa a cui il Centro di Salute Mentale affida i propri servizi dedicava due ore per tre pomeriggi alla settimana per comporre la pilloliera, fare il menù settimanale, la lista della spesa, le lavatrici e cambiare il letto, per pulire la casa, insegnarle la gestione del pattume e infine fare la spesa insieme a lei, unico momento di misera socializzazione di cui può godere. Non potendo caricarla in macchina, si recavano nel supermercato di prossimità ad attenderla per poi fare la spesa e rientrare a piedi per sistemarla.

La decisione del Centro di Salute Mentale di ridurre le ore pomeridiane (un’ora e mezza per due pomeriggi alla settimana) ha incrinato l’organizzazione e il problema è esploso quando la cooperativa non ha garantito il personale per il servizio nel mese di agosto e il supermercato di vicinato ha deciso di chiudere temporaneamente. Come potrà fare la spesa? Le soluzioni si sarebbero potute trovare se il problema fosse stato comunicato per tempo considerando la diffidenza nei confronti di ogni volto non conosciuto, le difficoltà nella scelta di ogni singolo alimento per marca, formato e scadenza visto che ogni minimo cambiamento genera ansia e agitazione.

Non è sufficiente il contributo in denaro: è fondamentale offrire un servizio vero e concreto senza compiacere il volere ‘malato’ del soggetto ma cercando di veicolarlo mediando, per arrivare a garantirgli un livello di vita dignitoso.

A distanza di ormai vent’anni dall’istituzione nel 2004 (L.G.09.01.04 N.6) della figura dell’amministrazione di sostegno, permane tanta ignoranza sul suo ruolo soprattutto da parte di chi dovrebbe con lui interagire professionalmente e non pensare che comunicare un deficit valga a liberarsi dalle responsabilità o peggio ancora sia sufficiente a far ricoprire da altri tutti i deficit del sistema socio sanitario.

Sara Gelli