“Aumentando l’impermeabilizzazione del territorio di fatto ne aumentiamo la pericolosità”

Impermeabilizzazione del suolo e modifica del ciclo dell'acqua sono due facce della stessa medaglia. Due fattori determinanti che, unitamente ai cambiamenti climatici, aumentano nettamente la probabilità che si verifichino gravi fenomeni di dissesto idrogeologico. Temi, questi, su cui ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale insiste da anni. Ne abbiamo parlato con l’ingegner Michele Munafò, dirigente di ricerca di Ispra nonché responsabile del Rapporto sul consumo di suolo in Italia.

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In Emilia Romagna si costruisce a un ritmo devastante: tra il 2020 e il 2021 è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, con oltre 600 ettari (1 ettaro equivale a 10mila metri quadrati) cementificati in un solo anno. Un passo non solo insostenibile ma anche estremamente pericoloso in un momento storico in cui, ed è ormai sotto agli occhi di tutti, che il nostro Paese deve – e dovrà – fare i conti con fenomeni “fuori dalle serie storiche” come è stato più volte ribadito anche in seguito alle catastrofiche alluvioni che hanno colpito la Romagna. Impermeabilizzazione del suolo e modifica del ciclo dell’acqua sono due facce della stessa medaglia. Due fattori determinanti che, unitamente ai cambiamenti climatici, aumentano nettamente la probabilità che si verifichino gravi fenomeni di dissesto idrogeologico. Temi, questi, su cui ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale insiste da anni. All’ingegner Michele Munafò, dirigente di ricerca di Ispra nonché responsabile del Rapporto sul consumo di suolo in Italia, chiediamo:

Dottor Munafò, esiste un legame tra come è stato gestito il territorio nel nostro Paese e quanto è accaduto nei giorni scorsi in Romagna? 

“Decisamente sì e questo è un problema noto da tempo: il buon governo del territorio è un elemento essenziale per ridurre gli effetti del dissesto idrogeologico e anche, mi permetto di dire, dei cambiamenti climatici in atto. Un territorio fragile come quello nazionale, dove abbiamo quasi un 20% in zona a pericolosità idraulica o da frana, dev’essere tutelato e preservato per quanto possibile, invece nel corso dei decenni, dal secondo dopoguerra ad oggi, il consumo di suolo, ovvero la crescita delle superfici artificiali, edifici, infrastrutture, aree urbane… si è innalzato enormemente arrivando a superare il 7% del territorio nazionale, mentre ricordo che la media europea è di poco superiore al 4. E si è andati a insistere perlopiù in pianura, nei fondovalle, nelle principali aree urbane e metropolitane, lungo la fascia costiera e sostituendo suolo naturale e agricolo, con superfici artificiali”.

Si è costruito e si continua a costruire troppo… Quali le conseguenze?

“Principalmente i problemi sono due e tra loro collegati. Da un lato se queste nuove edificazioni sono state realizzate in aree a pericolosità idraulica, aree cosiddette allegabili, di fatto ne aumentano l’esposizione e quindi la possibilità che diventino oggetto dei fenomeni che abbiamo rilevato in questo difficile momento. Vi è poi un altro elemento, più sottovalutato e meno evidente: quando sostituiamo suolo naturale con uno coperto di cemento o asfalto facciamo venir meno la sua funzione, ovvero la sua capacità di regolare il ciclo dell’acqua e di comportarsi come se fosse una grande spugna. Il suolo infatti trattiene l’acqua, è un grande serbatoio che la assorbe, la fa infiltrare nel sottosuolo, per poi rilasciarla lentamente; quando il suolo viene coperto da un materiale impermeabile, l’acqua scorre in superficie e aumentano portata, quantità e velocità con i suoi effetti dirompenti e i fenomeni di dissesto che ne possono conseguire. Aumentando l’artificializzazione del territorio di fatto ne aumentiamo anche la pericolosità”.

Può darci qualche numero circa la superficie impermeabilizzata della regione Emilia Romagna rispetto alla media nazionale? E qual è stato il trend di crescita legato al consumo di suolo nell’ultimo anno?

“Ogni anno monitoriamo l’avanzata delle superfici artificiali e nell’ultimo anno i valori maggiori sono quelli che riguardano Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Sono valori in termini assoluti e legati anche al fatto che queste sono tre regioni molto popolose e con un tessuto economico produttivo importante. In Emilia Romagna parliamo di oltre 600 ettari in un anno sostituiti da cemento e asfalto: superfici agricole e naturali dove sono stati avviati nuovi cantieri o completate costruzioni e attività edificatorie”.

Insomma dare la colpa solo al cambiamento climatico e a fenomeni di natura eccezionale è un modo per non volersi prendere la responsabilità di quanto sta accadendo.

“Sì. Non c’è dubbio che viviamo una situazione in evoluzione dal punto di vista dei cambiamenti climatici ma proprio per questo motivo dovremmo riconoscerlo e capire che abbiamo ancor più responsabilità. Ciò che non è stato fatto, spesso e purtroppo, in passato, oggi va fatto in modo ancor più incisivo. Occorre cambiare l’approccio come ci ricorda spesso la Commissione europea ad esempio con la Strategia per il suolo per il 2030 nella quale si indica come obiettivo l’azzeramento del consumo di suolo e il ripristino della permeabilità del suolo”.

Quello dell’Emilia Romagna è un territorio complesso e fragile. Cosa si deve fare per provare a prevenire quanto accaduto nei giorni scorsi in Romagna? Ricordiamo infatti che oltre a un reticolo di fiumi e torrenti molto ampio che non ha retto l’urto si sono create circa 300 frane…

“Nei tessuti urbani più compatti e impermeabilizzati occorre recuperare la capacità che aveva il suolo di far infiltrare le acque e questo lo si fa aumentando le superfici naturali, incrementando le aree vegetate, con alberi e verde… La crescita delle aree artificiali dev’essere invertita. Come? Evitando di consumare suolo laddove si hanno a disposizione tante superfici sotto utilizzate, dai grandi parcheggi ai piazzali asfaltati non più usati, dalle aree produttive dismesse alle abitazioni abbandonate. Si deve tentare di sfruttare al meglio il patrimonio costruito già presente e migliorare al contempo il tessuto urbano, affrontando l’annoso e importante tema della rigenerazione urbana. Rigenerazione che significa rivedere completamente l’organizzazione dei nostri insediamenti”.

Ci sono migliaia di famiglie che vivono in zone a rischio frane: quanta consapevolezza c’è rispetto a questo rischio? 

“Ancora troppo poca. Certo sta aumentando, d’altronde gli eventi tragici che si susseguono, impossibile non pensare oltre alla Romagna, anche a Ischia e alle Marche, accrescono la consapevolezza del problema. Il nostro ruolo è proprio quello di fornire un supporto di conoscenza, mettendo a disposizione dei dati puntuali attraverso i nostri rapporti periodici e il nostro sito. Abbiamo pubblicato una eco-atlante che permette di navigare sul territorio nazionale e di consultare delle mappe riguardanti varie questioni ambientali e capire, ad esempio, se la propria casa si trova in una zona a pericolosità idraulica o di frana. Insomma come istituto tentiamo, in ultima analisi, di far comprendere come la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema siano fondamentali per la nostra stessa esistenza”.

Jessica Bianchi

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