Ecco perchè Carpi non è una città bike friendly

Introdurre Zone 30 e rimpicciolire carreggiate per contribuire a diminuire la velocità delle auto non è sufficiente per disincentivarne l’uso se le ciclabili non sono ben raccordate tra loro e soprattutto sicure. Se, al contrario, si costruisce un’infrastruttura protetta, la gente comincia a pedalare. La ciclabile in sede propria che costeggia via Remesina e collega Fossoli a Carpi ne è un esempio. Senza un’alternativa invece la due ruote resta in garage. Prima si devono creare le condizioni per favorire un cambiamento e poi, pian piano, se ne raccolgono i frutti. Altrimenti di quella volontà di cambiamento non resta altro che qualche sbiadita traccia rossastra sull’asfalto.

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“Largo alle bici, ma anche ai monopattini e in generale ai mezzi elettrici: è la filosofia della Rete della Mobilità d’Emergenza, il piano d’azione per garantire la massima sicurezza a ciclisti, monopattini e pedoni”. Con queste parole erano stati presentati nel 2020 (per una lettura completa rimandiamo al sito del Comune di Carpi) i 20 chilometri di corsie tracciate sulle strade ordinarie e dedicate alle due ruote e non solo.

A distanza di poco più di due anni, se si è fortunati, quelle linee di vernice appaiono sbiadite ma in molti casi sono del tutto scomparse. Un esempio che ben rappresenta la situazione generale è senza dubbio quello di via Aldo Moro, in particolare nel tratto racchiuso tra le vie Alghisi e Nicolò Biondo, una strada fortemente trafficata e ampiamente utilizzata dai ciclisti per i propri spostamenti. 

Basta una rapida occhiata per rendersi conto del pessimo stato in cui versa la fu Rete di Mobilità d’Emergenza di cui ormai non resta quasi alcuna traccia, se non fosse per le ampie aree, ormai di un rosso tristemente scolorito, che si intravedono in prossimità degli incroci con le vie laterali. Stessa stinta sorte anche per la cosiddetta casa avanzata posta davanti alla linea d’arresto sotto al semaforo e che dovrebbe consentire ai ciclisti di ripartire prima delle auto ferme dietro (se solo la vedessero…). A compromettere ulteriormente la promessa e auspicata sicurezza degli utenti più deboli della strada è poi il manto stradale. Tombini, buche e fessurazioni rendono infatti la vita assai difficile a coloro che scelgono una mobilità alternativa. Propagandare la necessità – per il clima e per la nostra salute – di far uso delle gambe o della bici per gli spostamenti urbani non è sufficiente. A frenare nella nostra città l’uso della due ruote come mezzo di trasporto veloce, economico ed eco-friendly è la mancanza di infrastrutture realizzate – e manutenute – adeguatamente, che permettano di transitarvi in piena sicurezza. 

Presentati come una straordinaria novità per la nostra città, questi venti chilometri di vernice rossa non sono stati manutenuti a dovere e pertanto la cittadinanza continua a guardarli con sospetto. Limitarsi a dire che nel Nord Europa da anni i ciclisti usano abitualmente tali corsie, prive, lo ribadiamo, di separazioni fisiche rispetto al resto della carreggiata, suona come un alibi. Paesi come la Danimarca, la Svezia o l’Olanda, solo per citarne alcuni, sono considerati tra i più bike friendly al mondo perché hanno investito – e continuano a farlo – fior di quattrini nella realizzazione di infrastrutture ciclabili, da vere e proprie strade a vie pedonali e ponti.  Introdurre Zone 30 e rimpicciolire carreggiate per contribuire a diminuire la velocità delle auto non è abbastanza per disincentivarne l’uso se le ciclabili non sono ben raccordate tra loro e soprattutto sicure. Se, al contrario, si costruisce un’infrastruttura protetta, la gente comincia a pedalare. La ciclabile in sede propria che costeggia via Remesina e collega Fossoli a Carpi ne è un esempio. Senza un’alternativa invece la due ruote resta in garage. 

Come si può affermare di promuovere una mobilità sostenibile quando la zona industriale di Carpi, così come quella di Fossoli, non sono raggiungibili senza rischiare la vita? Come può essere considerato accettabile l’avere a disposizione un solo sottopasso ciclabile (quello del Borgogioioso) per attraversare indenni un asse lunghissimo come quello di via dell’Industria? E, ancora, i residenti dei quartieri nati a sud, in zona Morbidina, come possono varcare in sicurezza la Tangenziale Losi per raggiungere i nuovi poli commerciali che sorgono dall’altra parte a bordo di una due ruote? Prima si devono creare le condizioni per favorire un cambiamento e poi, pian piano, se ne raccolgono i frutti. Altrimenti di quella volontà di cambiamento non resta altro che qualche sbiadita traccia sull’asfalto.

Jessica Bianchi