Invisibili agli occhi della politica. Sono i medici del Servizio sanitario nazionale, le cui condizioni di lavoro continuano a peggiorare tanto che nei prossimi 5 anni altri 100mila sono pronti alla fuga, tra dimissioni e pensionamenti. Tra il 2010 e il 2020, in Italia sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso e tagliati 37 mila posti letto. All’appello nelle strutture ospedaliere mancano oltre 29mila sanitari. La sanità pubblica sta letteralmente collassando e per fronteggiare la mancanza di camici bianchi ospedalieri sempre più aziende sanitarie del Paese, comprese quelle di Modena e di Reggio, ricorrono a medici a gettone, ovvero a chiamata per ogni singolo turno, reperiti da cooperative private a loro volte cooptate tramite appalto. Un sistema estremamente dispendioso che apre le porte a una “privatizzazione selvaggia”. I gettonisti possono arrivare a guadagnare fino a 1.200 euro a turno mentre uno specializzando in Pronto Soccorso, dopo orari di lavoro estenuanti, a fine mese se ne mette in tasca 1.600. Ma siamo davvero sicuri che questi medici a chiamata servano solo a coprire un buco di organico? Non è di questa opinione la dottoressa Ester Pasetti, segretaria di ANAAO Assomed Emilia Romagna, il sindacato più rappresentativo di medici e dirigenti del SSN: “la scelta di impiegare questi professionisti è ormai strutturata e non più legata a una condizione emergenziale. Fortunatamente in Emilia Romagna sono poche le realtà che vi ricorrono, penso, ad esempio, al modenese, da Carpi a Mirandola, alla Bassa reggiana e perlopiù in alcune specialistiche come Ostetrica e Ginecologia ed Emergenza-Urgenza”.
I compensi sono “astronomici. Dai 1.000 ai 1.500 euro lordi per turni di dodici ore. Due, tre volte tanto quanto verremmo pagati noi se facessimo la stessa attività in prestazione ulteriore rispetto al nostro normale orario di lavoro. Una loro ora costa 100 euro, una nostra di straordinario 32: un rapporto di un terzo”.
Ma chi controlla la professionalità di tali medici? “L’unico controllo che possono fare le istituzioni – prosegue Pasetti – è quello di verificare se sono effettivamente abilitati all’esercizio della professione medica. I Nas, dal canto loro, hanno rilevato numerose irregolarità un po’ ovunque. L’azienda sanitaria richiede uno specialista ma, alle volte, ad arrivare è un semplice laureato senza specialità”. Per non parlare poi del modo in cui questi gettonisti vengono impiegati: “settimane fa un medico di 70 anni dopo aver fatto 36 ore continuative si è sentito male… Mi domando come persone di questa età possano reggere un onere così gravoso e soprattutto che tipo di servizio possano offrire… ”. Chi verifica la qualità dell’assistenza offerta da tali camici bianchi?
La mancanza di medici è figlia di anni di politiche sanitarie a dir poco inadeguate: “nell’ultimo decennio – continua la dottoressa Pasetti – la politica ha scelto di non formare professionisti pur sapendo che saremmo rimasti senza”. Il numero chiuso delle facoltà non centra nulla, “è una sciocchezza. In questo momento nelle facoltà di Medicina e Chirurgia abbiamo un numero sufficiente di iscritti per garantire i medici di cui avremo bisogno ma per troppo tempo non sono stati formati specialisti e ora siamo rimasti col cerino in mano. Lo Stato che gestisce le scuole di specialità deve orientarle secondo le proprie necessità. Se occorrono ostetrici, psichiatri e medici da impiegare in Emergenza-Urgenza non solo deve mettere a disposizione più posti in quelle specialità ma deve dire chiaramente ai laureati che quelle sono le scuole disponibili quell’anno perché servono quegli specialisti e non altri. E’ inutile continuare a formare professionisti in specialistiche non indispensabili e non orientare dove invece esiste l’indispensabilità”, conclude Pasetti.
Dal 2019 al 2021, complice l’irruzione della pandemia di Covid, hanno abbandonato l’ospedale circa 8.000 camici bianchi per dimissioni volontarie. Situazione analoga per i medici di famiglia, che dal 2016 al 2021 sono passati da 44.436 a 40.769 e molti pazienti ne sono rimasti privi, soprattutto nelle zone periferiche. A questo si aggiungono gli stipendi non adeguati: siamo il terzultimo Paese in Europa sul fronte delle remunerazioni dei medici, davanti solo a Portogallo e Grecia.
Una situazione a cui il ministro della Salute, Orazio Schillaci, intende porre rimedio: “punto alla rivalutazione del trattamento economico di tutto il personale sanitario, per rendere più attrattivo il Sistema sanitario nazionale”, ha dichiarato in Commissione Sanità al Senato illustrando le linee programmatiche del dicastero. Attualmente, ha avvertito, “l’uso distorto della esternalizzazione del personale comporta gravi criticità in termini di sicurezza delle cure perchè non sempre offre garanzia sulla professionalità”.
La Sanità pubblica deve tornare al centro dell’agenda politica prima che sia troppo tardi: se non ora, quando?
Jessica Bianchi e Chiara Tassi