Perchè guardare Il signore delle formiche?

Prima presenza festivaliera nelle sale a disposizione del pubblico (a Carpi è in programmazione al Cinema Eden), il film di Gianni Amelio, Il signore delle formiche, ci riporta al 1968. Il merito maggiore del film? Riportare alla cronaca odierna problemi che la società italiana non ha ancora risolto completamente. Certamente non quello del plagio, ma quello dell’uguaglianza dei cittadini che la Costituzione garantisce.

0
3853

Prima presenza festivaliera nelle sale a disposizione del pubblico, il film di Gianni Amelio, Il signore delle formiche, ci riporta indietro al mitico 1968. Anno di enormi cambiamenti politici, sociali e culturali sull’onda di una contestazione giovanile che travolge l’intero globo. Paradossalmente in Italia si celebra un processo che riporta il nostro Paese al Medioevo. Il processo per reato di plagio è l’unico di tutto il secolo scorso nel mondo intero. Reato che sopravvive nel vigente codice Rocco, nefasta eredità del fascismo e cancellato dalla Corte Costituzionale soltanto diversi anni dopo, nel 1981. 

L’accusato è il mirmecologo (studioso delle formiche) Aldo Braibanti, figura esemplare di artista eclettico ed ex partigiano arrestato e torturato dal regime fascista. La cosiddetta vittima è Giovanni Sanfratello (ma nel film il nome è cambiato), studente, rampollo di una famiglia autoritaria e più che bigotta, ultracattolica. Tra i due che si frequentano nell’ambiente artistico, nasce una relazione sentimentale, sono entrambi adulti e consenzienti, quindi in un Paese dove l’omosessualità non è reato, nessuno dovrebbe aver nulla da obiettare. Invece le cose vanno diversamente. La famiglia rapisce letteralmente il giovane e lo rinchiude in un ospedale psichiatrico, dove subisce una quarantina di devastanti elettroschock. Amelio ricostruisce la vicenda in modo assai sobrio, dedicando molta cura alla definizione dei due protagonisti, interpretati da Luigi Lo Cascio e dall’esordiente Leonardo Maltese. Li vediamo incontrarsi e conoscersi vicendevolmente nel borgo della provincia piacentina, un paesaggio dolce, quasi romantico, che si contrappone talvolta alla durezza dell’attività teatrale. Il rapporto maestro allievo è delineato nei contorni classici tipici di qualsiasi situazione accademica o scolastica. Quindi niente di strano o di particolare. Poi la breve coabitazione nella capitale dove avviene il sequestro, il rapimento, questo sì un vero reato. Senza contare il trattamento “medico” che lo dovrebbe guarire dalla sua attrazione per lo stesso sesso. Vera barbarie, molto più dolorosa della terapia che la famiglia suggerisce al fratello per guarire dalla fede comunista: gli basta una visita a Padre Pio.  

All’epoca dei fatti vi fu una mobilitazione importante di diversi intellettuali e personalità della cultura, come Umberto Eco, Pasolini, Morante, Maraini, i Fratelli Bellocchio, Moravia, lo psichiatra Cesare Musatti. In piazza si mobilitarono i radicali di Marco Pannella e a questo proposito appare decisamente fuori contesto e a mio parere sbagliato il primo piano di Emma Bonino inserito mentre alle sue spalle alcuni manifestanti scandiscono la loro protesta. Perché la leader politica di oggi non è più quella degli Anni Sessanta. Amelio non avrebbe avuto certamente difficoltà a trovare un’immagine d’epoca che avrebbe certamente testimoniato la lotta sostenuta da quell’unico movimento politico. Perché come mostra il film, il Partito Comunista e il suo giornale L’Unità non ci fanno una gran bella figura. Sempre attenti a non urtare una Chiesa ingombrante e incombente sulla società italiana, e senza il coraggio di sostenere una battaglia per i diritti civili e per l’uguaglianza tra tutti i cittadini, compresi quelli con un orientamento sessuale diverso. D’altra parte anche Pasolini non ricevette solidarietà dal suo partito. Nel film questo tema è sostenuto dalla figura del cronista dell’Unità interpretato da un ottimo Elio Germano. Cappellino sulla fronte, block notes per gli appunti e una grinta da reporter allo sbaraglio. Penso che il merito maggiore di questo film sia di riportare alla cronaca odierna problemi che la società italiana non ha ancora risolto completamente. Certamente non quello del plagio, ma quello dell’uguaglianza dei cittadini che la Costituzione garantisce. Quel processo non era al plagio (inesistente tra adulti) ma a una condizione di vita. In un documentario presentato alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro del 2020, i registi Carmen Giardina e Massimiliano Palmese presentarono il loro Caso Braibanti, molto interessante; il film di Amelio tratta la stessa documentazione mettendola in fiction e rendendola accessibile al grande pubblico. Ebbene, quello che il regista già Leone d’Oro a Venezia (Così ridevano -1998) lascia capire con una sceneggiatura ben scritta in quel documentario era sintetizzato in un’unica frase: l’amore stesso è un plagio (A cui ci sottoponiamo volentieri, reciprocamente, tutti).

Ivan Andreoli