La comunità sciita carpigiana, una tra le più consistenti nel nord Italia insieme a quella di Brescia, ha commemorato oggi, sabato 28 maggio, la festa religiosa dell’Ashura, il “decimo giorno del Muharram, il primo mese dell’anno nel calendario lunare islamico”, spiega in italiano il 25enne pakistano Bilal Mustafa, dell’associazione Imamia welfare organization Carpi, introducendo il rito in piazzale Ramazzini dove si sono ritrovati un centinaio di uomini vestiti di nero in segno di lutto. Le donne, una ventina, ci sono, anche se non si vedono, e resteranno poi in coda al corteo che parte alle 14.30. A garantire l’ordine pubblico è presente la Polizia di Stato mentre la Polizia Locale regola il traffico. Sfilano lungo via Cavallotti e via Ugo da Carpi fino a Piazzale Francia manifestando cordoglio per il tragico evento storico ed esprimendo contemporaneamente il netto rifiuto di ogni oppressione, “anche di quelle che si ripetono oggi in Ucraina, in Palestina e, ancora, nel Kashmir a opera dell’India” afferma Mustafa.
In Piazzale Ramazzini e nel corso della processione, alcuni volontari distribuiscono a curiosi e passanti volantini informativi in italiano con l’obiettivo di comunicare e spiegare ma resta la diffidenza di chi rinuncia a leggere “perché – dice un ragazzo – pensavo fosse una preghiera”.
Con l’Ashura, si commemora l’anniversario della morte di Hussein, nipote del profeta Maomettonella battaglia di Karbala nell’anno 680 dove ha combattuto con tutte le sue forze contro l’esercito di Yazid. La morte tragica e dolorosa di Hussein consacra la rottura definitiva dei due grandi filoni dell’islam – quello sunnita e quello sciita. Da quel momento, coloro che riconoscono la legittimità del califfo Yazid vengono chiamati sunniti, mentre chi predilige il legame di sangue con la famiglia di Maometto e considera Hussein come il legittimo erede del Profeta, viene identificato come sciita.
La leggendaria resistenza di Hussein nei confronti di Yazid è diventata un modello etico per i musulmani sciiti che ne rievocano il martirio e la sofferenza battendosi il petto al ritmo di canti e lamenti che narrano la tragedia di Karbala. Al tavolo con Comune, Questura e Consulta degli stranieri è stato concordato che non si possa stare a petto nudo, come vorrebbe la tradizione, e la violenza sia contenuta.
Sara Gelli