Nella morsa della siccità, cosa dobbiamo aspettarci?

Una stagione irrigua mai iniziata con così tanto anticipo. Bonvicini: “Per ora riusciamo a soddisfare il fabbisogno, ma se la siccità perdurasse potrebbero esserci delle criticità”. E sullo stop delle materie prime causato dal conflitto russo-ucraino, il presidente è laconico: “il problema più serio per agricoltori e allevatori è quello legato alla mancanza di fertilizzanti e mais. Siamo in una congiuntura molto difficile. Oserei dire in una tempesta perfetta”.

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Pompe idrovore dell’impianto consortile di Boretto in azione

La pioggia continua a latitare e la situazione in cui versa il settore agricolo “è gravissima poiché, purtroppo, si stanno accumulando problematiche di non facile risoluzione, a partire dall’assenza di piogge. Sono più di 120 giorni che non piove. Negli affluenti non c’è più disponibilità idrica, ora riusciamo a mantenere un minimo di irrigazione grazie al Po ma se questo periodo siccitoso dovesse continuare, in l’estate sarà veramente dura risolvere i problemi a cui andranno incontro i nostri agricoltori”. Non nasconde la sua preoccupazione il presidente del Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale nonché presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini.

Non era mai accaduto che l’irrigazione partisse così presto nei comprensori gestiti: un territorio di 120mila ettari nel quale scorre una rete di canali lunga 3.500 km e dove non si registrano significative precipitazioni dalla fine di novembre. Fortunatamente le temperature notturne continuano a essere piuttosto rigide e questo limita il fabbisogno irriguo delle colture; fabbisogno che però sta progressivamente aumentando, tant’è che nel giro di pochi giorni l’Emilia Centrale ha già raggiunto 200 richieste di irrigazione su tutto il comprensorio. “Per ora, lo stato dei fiumi da cui noi deriviamo la risorsa idrica (Po, Enza e Secchia) ci consente di poter soddisfare il limitato fabbisogno irriguo, nonostante i quantitativi di acqua eccezionalmente bassi per questa stagione – prosegue Bonvicini – ma se dovessero perdurare l’assenza di piogge e il corrispondente calo delle portate dei fiumi, a causa del naturale rialzo delle temperature, nel giro di qualche settimana, potremmo trovarci nella necessità di non riuscire a soddisfare il fabbisogno irriguo di tutte le colture, soprattutto nelle zone di alta pianura, servite dai torrenti appenninici che sono maggiormente in crisi idrica”. In quel caso l’unico modo per tentare di limitare i danni sarà quello di “cercare di razionalizzare i consumi ma, lo ribadisco, se questa situazione continuerà sarà un problema soprattutto per gli agricoltori prossimi alle semine, come quella del mais, i quali dovranno fare delle scelte poiché questa coltura necessita di un grande apporto d’acqua e di fertilizzanti e oggi mancano entrambi”. Il tema dell’approvvigionamento dei fertilizzanti infatti è l’altra grande incognita: “noi – spiega Bonvicini – dipendiamo dall’estero. C’è un piccolo stabilimento a Ferrara che produce concimi azotati ma oggi è fermo perchè i costi di produzione sono enormi. Basti pensare che sull’urea, fertilizzante base per il nostro settore, si sfiorano i 1.200 euro a tonnellata. Siamo molto preoccupanti perché reperire il prodotto è sempre più difficile”.

Il conflitto tra Russia e Ucraina sta provocando anche un aumento incontrollato dei prezzi delle materie prime, soprattutto dei cereali, visto che i due Paesi sono tra i maggiori esportatori. Insieme, infatti, rappresentano il 29% dell’export mondiale di grano e il 19% di quello di mais. Ad aver sospeso le esportazioni sono però anche Slovenia e Ungheria, come tale stop si ripercuoterà sulle nostre tavole?

“Il problema più serio – spiega Bonvicini – è quello legato al mais: prendiamo il 60% del prodotto dall’estero e concentriamo i nostri acquisti proprio in quelle zone e oggi anche i paesi limitrofi alla zona di guerra non esportano più. Questo potrebbe provocare dei cambiamenti nell’alimentazione dei nostri animali e indurre gli agricoltori a optare per altre colture meno energetiche e più costose come la soia ad esempio. Siamo in una congiuntura molto difficile. Oserei dire in una tempesta perfetta”. 

Una dipendenza dall’estero che, conclude il presidente, deve ridursi: “l’Italia produce la metà del proprio fabbisogno; ha una superficie agricola utilizzabile pari al 20% rispetto alla complessiva e quindi non riusciremmo a produrre il necessario e abbiamo  bisogno di partner esteri soprattutto per approvvigionarci di grano duro e tenero. Per anni i prezzi del grano erano talmente bassi che questa coltura non è stata incentivata e molte superfici dedicate al grano sono state riconvertite. E’ tempo di invertire la tendenza per essere il più autosufficienti possibile”.

Chiara Tassi