“Mi ricordo il suo nome: Maria Ginosa. Non l’ho più rivista né risentita e questo mi dispiace tanto”. Luciana Neri, oggi ha 80 anni, allora aveva sei anni e frequentava la prima elementare quando la sua famiglia, che abitava in una casa di campagna nella frazione Secchia di Soliera, si rese disponibile a ospitare per sei mesi quella bambina di un anno più piccola.
Il movimento di solidarietà popolare per la salvezza dell’infanzia era nato nell’autunno del 1945, in vista di un inverno che si preannunciava durissimo con poco da mangiare, niente riscaldamento, in case per lo più semidiroccate dai bombardamenti. L’Italia era un cumulo di macerie e furono le donne del Pci di Milano a farsi carico del problema e a chiedere al partito che alcuni bambini orfani e in stato di estremo bisogno venissero ospitati per l’inverno in Emilia. Da questa semplice proposta, quasi casuale, prese avvio un movimento destinato a crescere a livello nazionale, basato sull’idea di solidarietà e responsabilità verso l’infanzia, vittima innocente della guerra e delle sue conseguenze. I comunisti vi concentrarono tutto il loro impegno, la loro capacità organizzativa, la loro inventiva ricostruiti nel volume Cari bambini vi aspettiamo con gioia… pubblicato nel 1980. La nostra terra rispose con il suo calore e alla riunione organizzata a Modena dal segretario della federazione Leonida Roncagli, parteciparono anche il sindaco della città Alfeo Corassori e alcuni membri della giunta. La discussione rapida e concreta terminò con l’offerta di 1500 posti nella prospettiva di metterne a disposizione altri, come infatti avvenne pochi mesi dopo per i bambini di Roma e del Mezzogiorno.
Già tra il ’45 e il ’46 più di trentamila bambini di Milano, Torino, Roma e Cassino erano stati accolti nelle regioni del Centro e del Nord dell’Italia.
La piccola bambina di cinque anni ospitata nella casa di Luciana Neri, “arrivò a settembre del 1947 e se ne andò nella primavera del 1948 insieme agli altri bambini che, per noi, erano tutti di Napoli. Mi ricordo che mi salutava dal ponte di casa quando partivo al mattino per andare a scuola. Lei aveva cinque anni e non frequentava le lezioni ma durante l’inverno, quando si giocava in casa, io le facevo da maestra. Insieme ai miei genitori vivevo nella casa della famiglia del papà e io non andavo a dormire nemmeno dai nonni materni a un chilometro di distanza da casa mia. Mi faceva pensare il fatto che quella bambina trascorreva tanti mesi lontano dalla sua casa… Quando le zie, che facevano le sarte, hanno confezionato il vestito per me, lo hanno fatto anche per lei con un rigo diverso: è quello che indossiamo nella foto”.
Nemmeno le donne del partito sapevano come sarebbero state accolte presso le famiglie e se i genitori avrebbero capito la proposta, oltre alla comprensibile perplessità di separarsi dai loro figli e affidarli a gente sconosciuta in paesi lontani. Non va dimenticato che in quegli anni la maggior parte dei genitori era analfabeta, non si era mai mossa da casa, e il telefono interurbano era un lusso. Eppure le donne del partito trovarono la forza di superare la diffidenza delle famiglie che dovevano dare il pieno consenso e si accorsero ben presto che la proposta rispondeva a un bisogno reale, drammatico e incombente nelle famiglie.
I genitori di Maria non sapevano leggere, né tantomeno scrivere ma “ricordo – aggiunge Luciana – che il suo papà arrivò per Natale e con sé aveva due sportine di rafia piene di caramelle come regalo per noi”.
I bambini arrivarono a Modena, è scritto nel libro, dopo un viaggio faticoso e ad attenderli oltre alle autorità c’era una folla plaudente. Non era stato possibile distribuire gli indumenti durante il viaggio e tanti bambini all’arrivo avevano ancora dei pezzi di cartone ai piedi: affascinati, guardavano la neve cadere lentamente, tanto più che molti tra di loro non l’avevano mai vista. Non pensavano che avrebbero dovuto camminarci sopra per raggiungere i pullman che aspettavano fuori dalla stazione. Si vide allora uno spettacolo indimenticabile: gli uomini che erano in attesa sulla pensilina si precipitarono agli sportelli e portarono i bambini in braccio o sulle spalle fino alle corriere. Nessun bambino mise il piede in terra!
Luciana ricorda la grande povertà di quel periodo. “Vivevamo in campagna e non è che ci fosse tanto, si mangiava quello che c’era, ma tutte le famiglie vicine di casa contribuivano con qualcosa per questa bambina: latte, scarpe, abiti”.
A Napoli i bambini, tra cui immaginiamo anche Maria Ginosa, affluivano all’Albergo dei poveri per le docce e per la colazione calda. Lì ricevevano – si legge nel libro – i cappotti procurati dal ministro per l’assistenza post-bellica Emilio Sereni. Distribuiti i cappotti secondo le taglie, le compagne dell’Udi cucivano i numeri corrispondenti agli elenchi e alle schede sociosanitarie che avrebbero seguito i bambini. Ogni aula corrispondeva all’autobus e poi al vagone ferroviario. Non avevamo previsto che alla stazione le madri avrebbero sottratto i cappotti ai loro figli in partenza per darli ai fratelli che rimanevano a casa. Per 12mila bambini di Napoli la grande avventura del viaggio al Nord fu il dono di Natale.
Il fratello di Maria era ospitato presso una famiglia di Migliarina ma allora era tutto lontano e solo “in primavera con le temperature più miti, una domenica accompagnammo Maria in bicicletta in visita presso il fratello. Io – ricorda Luciana – stavo in piedi sulla stecca”.
Il più grande desiderio di Luciana è quello di rintracciare Maria Ginosa alla quale sono legati i suoi ricordi d’infanzia.
“La fame è una rarità in Italia – scrive Giovanni Berlinguer nella prefazione al libro pubblicato nel 1980 – ma non è detto che la carenza di lavoro, di pulizia morale, di sentimenti umani, generi sofferenza minore che la carenza di cibo. Gli emarginati allora si chiamavano sbandati, disoccupati, senza tetto; oggi però sono altrettanto numerosi e il divario tra i loro bisogni e quanto offre la società non è meno profondo. La somma di patimenti, di malattie, di infelicità che si accumulano attualmente è fatta di voci diverse rispetto a trent’anni fa; ma la cifra totale è in rialzo, purtroppo. E il partito, il sindacato, l’associazionismo femminile e giovanile, l’Ente locale? È più forte di allora, certamente. Ha contribuito ad affermare diritti sociali che rendono la vita più sicura e tranquilla, malgrado la bufera. Ma sta perdendo qualcosa nella profondità dei rapporti umani, nella fantasia delle iniziative sociali, nel collegamento con i sentimenti e le aspirazioni quotidiane. Anche in questo consiste la sfasatura, che rischia di divenire distacco, fra la politica e i cittadini”.
Sara Gelli
Un sentito ringraziamento ad Aldino Ferrari per i suggerimenti e la preziosa collaborazione.