La storia di F. madre e lavoratrice di origine marocchina è simile a quella di tante altre donne. In Italia da ormai vent’anni, per dieci lunghi anni ha subito abusi, botte e atti persecutori da parte del marito. “Quando ci siamo sposati in Marocco lui era un gentiluomo ma poi lui è tornato in Italia e quando è riuscito a ottenere il ricongiungimento e io l’ho raggiunto qui, le cose sono totalmente cambiate”, racconta la donna. “Lui mi controllava, ero del tutto sottomessa alla sua volontà. Ero una schiava. Temeva lo tradissi, quando era al lavoro mi tempestava di telefonate per capire dove mi trovassi e se fossi insieme a qualcuno. Seguiva ogni mio passo e mi picchiava. Quando rientrava controllava ogni stanza e se vedeva un cambiamento nella disposizione delle cose mi accusava di aver fatto entrare in casa qualcuno. Non uscivo mai, solo al sabato, insieme a lui, per andare a fare la spesa. Mi sentivo in gabbia”. Poi, dopo dieci anni di violenza, e con un bimbo di nove, F. decide che non può più andare avanti così e si decide a chiedere aiuto alla Comunità Papa Giovani XXIII. “Non sopportavo più di vivere così ma avevo paura. Non sapevo se ce l’avrei fatta da sola ma non volevo che mio figlio crescesse in quell’ambiente violento, dovevo proteggerlo. Ero senza soldi, non avevo un lavoro né la patente. Grazie a un’educatrice della Comunità sono riuscita a fare tutti i passi necessari, ho preso contatto con gli assistenti sociali, ho fatto denuncia ai Carabinieri… e pian piano ho riconquistato la mia libertà”.
Priva di una rete parentale qui in Italia, dopo essersi liberata del marito violento, F. ha dovuto iniziare un’altra battaglia, quella di “crescere mio figlio da sola”.
La Comunità Papa Giovani XXIII “mi ha fatto sentire accolta, mi ha sostenuta nella ricerca di un lavoro e oggi posso dire di avercela fatta. La paura resta, ci convivi. Ogni rumore ti fa sussultare, ho perso la fiducia negli uomini e sto ancora male ma devo andare avanti. Sono grata alle tante persone che mi hanno aiutata a recuperare la mia dignità”. F. oggi è impegnata in prima persona nel cercare di aiutare altre donne vittime di abuso, perché, conclude, “solo chi ha vissuto la stessa esperienza può davvero capire nel profondo cosa sentono”.
Jessica Bianchi