Lo sguardo del cinema sul mondo e la vita delle donne

Venezia 78 – Una Mostra prevalentemente al femminile raccontata dal nostro inviato a Venezia, Ivan Andreoli.

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la regista francese Audrey Diwan premiata col Leone d'Oro

Anche se sono solo cinque le registe presenti nella sezione ufficiale su 21 titoli in concorso a Venezia 78, è impossibile negare che la presenza femminile sia predominante nei soggetti e nei personaggi protagonisti dei film in gara o presenti nelle sezioni collaterali. A cominciare dal film di apertura, l’intenso Madres parallelas di Pedro Almodovar. E’ il racconto di due vite parallele che si incontrano all’ospedale in una stanza del reparto maternità. Entrambe partoriscono nello stesso momento. Una è una donna matura che smania di gioia per l’inaspettata gravidanza, l’altra è una giovanissima ragazza che quella maternità avrebbe voluto evitarla. Ma quando poi stringerà tra le braccia la piccolissima creatura verrà sopraffatta dall’amore e dall’emozione. L’intreccio del film porta le due donne a non perdersi di vista, anzi. Grande film che sa inserire queste storie private nell’attuale contesto storico spagnolo. Infatti la vicenda è racchiusa nel desiderio di Janis (come Janis Joplin), la maggiore (Penelope Cruz) di ritrovare i resti di un lontano bisnonno assassinato dai franchisti durante la guerra civile spagnola. Quando le due donne ne parlano Jenis spiega ad Ana (Milena Smit) che è necessario conoscere la storia passata se si vuole capire il presente. Uno spunto politico insolito nella cinematografia del regista spagnolo che così può affermare la necessità e l’urgenza di conservare la memoria contro le derive delle società contemporanee. E’ femmina, anzi doppiamente femminile il Leone d’oro di questa faticosissima Mostra internazionale d’Arte Cinematografica. L’evenement, che arriverà nelle sale italiane a fine ottobre col titolo di 12 settimane, è firmato infatti dalla trentunenne regista francese Audrey Diwan, qui al suo secondo lungometraggio. Ne è protagonista una studentessa che vuole abortire nei primi anni 60 del secolo scorso. La legge che legalizzerà l’evenement arriverà in Francia infatti solo nel 1975. Tratto dal romanzo autobiografico di Annie Ernaux del 2000, edito in Italia col titolo L’Evento da L’Orma nel 2019, segue le dolorose vicissitudini che portano la protagonista a cercare e subire un aborto clandestino, non privo di complicazioni. La regia non fa assolutamente sconti e segue in tutta la sua crudezza l’operazione. Denuncia l’estrema solitudine in cui si trova la ragazza, abbandonata dalle amiche e l’insensibilità e la cattiveria di un medico ostile e vendicativo da una parte, e la paura e l’impotenza di una classe medica impossibilitata ad agire, pena gravissime conseguenze, dall’altra. Una situazione all’epoca non dissimile da quella di tanti altri Paesi, fra cui l’Italia, e purtroppo ancora attualissima in molti altri. Un premio ampiamente meritato non solo per la scelta tematica, ma anche per lo stile e la forma adottati. Il silenzio a sottolineare l’isolamento, la solitudine e la paura, il formato delle inquadrature, sempre stretto, quasi a imprigionare la ragazza nel suo universo senza sbocchi, prevalenza di immagini ravvicinate, primi piani impietosi ma necessari. Ne esce un personaggio femminile forte, disposto ad andare contro la legge, a rischiare la prigione e anche la vita.

Il Leone d’Argento ha premiato il nostro cinema grazie a Paolo Sorrentino e al suo racconto sottilmente autobiografico E’ stata la mano di Dio. Siamo naturalmente ai piedi del Vesuvio, dove il giovane Schisa (interpretato da Filippo Scotti, vincitore del premio Mastroianni) va a vedere la partita del Napoli anziché seguire i genitori nella casa in montagna. Questa decisione lo salva dall’intossicazione letale che colpirà i famigliari a causa di una stufa difettosa. Una salvezza attribuita quindi a quella mano di Dio divenuta proverbiale perché la citò per primo Maradona dopo un gol con tocco “di mano” contro l’Inghilterra ai mondiali del Messico nell’86. L’autore ha dichiarato che quanto messo in scena non appartiene necessariamente alla sua vita, ma pur essendo il frutto di esperienze e aneddoti di amici e conoscenti, fa parte comunque del proprio vissuto. Il film pur contrassegnato da episodi anche drammatici come quello iniziale, gode di una vena umoristica che porta spesso al sorriso e al piacere. Senza togliere nulla alla bellezza e alla sincerità del film, se mi è consentito vorrei esprimere un leggero senso di deja-vu nell’assistere di nuovo a vaghe atmosfere e citazioni felliniane. 

Premio al femminile a Jane Campion per la miglior regia col film The power of the dog (Il potere del cane). Un western molto bello incentrato sulla figura di Phil (Benedict Cumberbatch) un rude cowboy piuttosto macho nonché omofobo. Siamo a metà degli anni 20 del Novecento, le prime auto solcano le strade del Montana dove il nostro, insieme al fratello, frequenta un saloon gestito da Rose (Kirsten Dunst) una vedova che prepara i pasti per quel mucchio selvaggio di uomini rozzi e poco inclini al sapone. La signora ha un figlio che tutti chiamano signorina, semplicemente perché Peter, questo il suo nome (Kodi Smit Mc-Phee), è più attratto dagli studi anziché dal bestiame, dal gioco e dall’alcol. Il fratello di Phil invece, George (Jesse Plemons) detto panzone, è molto educato e veste elegante, ama i bagni caldi nella vasca e finirà per sposare la locandiera. Lo spettacolo si dipana tra la paura e il desiderio. La regista è evidentemente molto attenta nel mettere in scena i rapporti, anche di potere, tra i vari personaggi. Coerentemente con la poetica dell’autrice, anche il paesaggio gioca un ruolo importante coi suoi spazi immensi, i terreni aspri e le ombre delle colline a proiettare forme sulle montagne circostanti. Il film avrà un breve passaggio in sala a metà novembre poi a dicembre approda sulla piattaforma Netflix.

Sono invece già visibili al pubblico il film di Mario Martone sulla figura del mitico teatrante Eduardo Scarpetta, Qui rido io. Ambientazione di inizio Novecento, la Bella Epoque sorride anche a Napoli soprattutto nel teatro e il protagonista si trova al centro di una famiglia che definire allargata sarebbe riduttivo anche oggi: ci sono anche Eduardo, Titina e Peppino De Filippo. Biografia molto ben orchestrata grazie anche a una serie di canzoni che stacca e collega le varie scene, il susseguirsi degli avvenimenti, il passaggio del tempo, il progredire delle azioni, i quadri teatrali ancora oggi famosissimi. Su tutto la magistrale presenza di Toni Servillo che veste da vero istrione i panni del commediante e del personaggio emblematico dell’epoca: quel Felice Sciosciammocca che strappa Pulcinella dall’immaginario dei napoletani. C’è tensione vera nel seguire la lite giudiziaria tra Scarpetta e D’Annunzio a proposito della parodia della Figlia di Iorio. E’ il racconto della prima causa sul diritto d’autore avvenuta nel nostro paese. C’è emozione autentica anche se la storia è già scritta e risaputa.

L’altro titolo già in sala è The Card counter (Il collezionista di carte) del regista statunitense Paul Schrader. Storia di un giocatore d’azzardo poco incline a rischiare troppo. Ma le cose si complicano quando incontra un giovane deciso a vendicarsi di un “nemico” comune con l’aiuto di una misteriosa signora. 

Ivan Andreoli

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