Covid, la vita “sospesa” di bambini e adolescenti

Come hanno reagito i bambini di fronte al diritto negato alla socialità, al gioco e al movimento? E cosa comporta per gli adolescenti, inghiottiti nelle loro case, tra videolezioni, serie tv, e social network, la rinuncia alla libertà? La loro è davvero la generazione dei sogni perduti o, al contrario, questa esperienza traumatica li renderà più resilienti? Lo abbiamo chiesto alla psicologa carpigiana Sandra Frigerio.

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la psicologa carpigiana Sandra Frigerio

Ansia, irritabilità, disattenzione, disturbi depressivi. Il Covid-19 lascia il segno anche sui più piccoli e presenta il conto. Salato. Ma come hanno reagito i bambini di fronte al diritto negato alla socialità, al gioco e al movimento? E cosa comporta per gli adolescenti, inghiottiti nelle loro case, tra videolezioni, serie tv, e social network, la rinuncia alla libertà? Cosa genera questa “sospensione” in bambini e ragazzi? La loro è davvero la generazione dei sogni perduti o, al contrario, questa esperienza traumatica li renderà più resilienti? Lo abbiamo chiesto alla psicologa carpigiana Sandra Frigerio, tra i professionisti che si occupano dello Sportello psicologico in alcune scuole cittadine.

Dottoressa, quali segni sta lasciando la pandemia sui bambini?

“L’emergenza Coronavirus ci ha travolti improvvisamente, privandoci dei nostri punti di riferimento, delle nostre abitudini, togliendoci certezze e mettendoci in contatto con le nostre paure. Questa pandemia per i bambini, in particolare, si configura come un’esperienza destabilizzante, comportando una serie di cambiamenti nella routine e nelle abitudini della vita, stravolgendo ritmi di vita e relazioni e costringendoli a perdere, in taluni casi, la rete affettiva a cui erano legati. Come noi, anche i bambini si sono sentiti imprigionati fra le mura di casa, con il costante desiderio e bisogno di muoversi, di guardarsi intorno e di scoprire cose nuove. Dall’altro lato, il ritorno, seppur condizionato, alla vita scolastica ha nuovamente rappresentato delle sfide e delle reazioni nei più piccoli, costringendoli a confrontarsi con una nuova distanza relazionale e situazionale, con il senso di perdita rispetto a limiti e contatti fisici”.

Quali sono i segnali di stress nei più piccoli?

“I bambini più piccoli manifestano l’aumento dei capricci, atteggiamenti rumorosi, comportamenti regressivi, iperattività, irritabilità, difficoltà di concentrazione, eccessivo attaccamento. Molti presentano disturbi del sonno, con problemi di addormentamento e risvegli notturni. Nei più piccoli, soprattutto maschi, l’impossibilità di giochi fisici, resi possibili dagli spazi e dall’appartenenza a un gruppo, generano irrequietezza e sintomi psicosomatici.

Anche la mancata frequentazione di figure di riferimento importanti, come i nonni, rappresenta un motivo di destabilizzazione e senso di perdita”.

Quali strumenti possono adottare i genitori per cercare di limitare i danni?

“Gli adulti hanno il compito di aiutare i bambini a comprendere ciò che è successo e che sta ancora accadendo. I bambini hanno antenne speciali, che permettono loro di captare gli stati emotivi degli adulti: se vogliamo essere dei modelli risoluti per loro, dobbiamo mostrare non solo la forza e la tenacia, ma anche la nostra paura e la nostra parte più vulnerabile, con gli opportuni filtri, in modo da non spaventare i bambini ma risultando autentici. I bimbi sono abili nel combattere e regolare paure profondissime. Per questo motivo gli adulti possono dare voce alle loro paure, senza lasciare che questa esperienza possa sedimentarsi come se niente fosse successo.  La conoscenza riduce l’ansia e aumenta la resilienza: i bambini hanno bisogno di informazioni oneste sui cambiamenti all’interno della loro famiglia. Quando queste informazioni sono assenti, i bambini cercano di dare un senso alla situazione da soli. E’ essenziale esporre i bambini a poche ma corrette informazioni sul Covid-19 attraverso diverse fonti, parlando con loro delle notizie ed eventualmente facendo da filtro.  La comunicazione con i bambini più piccoli non deve basarsi esclusivamente sulla semplificazione del linguaggio o dei concetti utilizzati, ma deve anche tener conto della comprensione della malattia. Tra i 4 e i 7 anni circa, la comprensione è influenzata dal “pensiero magico”, un concetto che descrive la convinzione del bambino che pensieri, desideri o azioni non correlate possano causare eventi esterni e che una malattia possa essere provocata da un particolare pensiero o comportamento. L’emergere del pensiero magico avviene più o meno nello stesso periodo in cui i bambini sviluppano un senso di coscienza, pur avendo una scarsa comprensione di come si diffonde la malattia. Gli adulti devono prestare attenzione che i bambini non si rimproverino in modo inappropriato o non avvertano la malattia come una punizione per un cattivo comportamento da parte loro. Altri strumenti a disposizione dei genitori sono l’ascolto e la metacomunicazione emozionale: comunicare con i bambini su come si sentono e come stanno elaborando le informazioni che ricevono fornirà loro gli strumenti emotivi necessari per affrontare al meglio questo periodo. Ascoltare ciò che i bambini credono rispetto della trasmissione del virus è essenziale, e fornire loro una spiegazione accurata e significativa farà sì che non si sentano spaventati o colpevoli.  Attraverso una genitorialità positiva, ovvero disponibile a parlare delle proprie emozioni senza pretendere di avere tutto sotto controllo, rende più facile regolarizzare anche le emozioni difficili da vivere. Gli adulti devono essere credibili su alcune delle incertezze e delle sfide psicologiche della pandemia, senza travolgere i bambini con le loro paure. Questa onestà non solo offre una spiegazione coerente di ciò che i bambini osservano, ma permette loro anche di parlare delle proprie emozioni e difficoltà in modo sicuro. Normalizzare le loro reazioni emotive e rassicurare i bambini su come la famiglia si prenderà cura l’uno dell’altro aiuta a contenere l’ansia e fornisce un’attenzione condivisa. Anche brevi momenti di esercizio fisico condiviso possono avere un enorme impatto sulla capacità di regolazione dell’emotività, contenendo reazioni esagerate con scoppi d’ira o nervosismo”.

Il Covid-19 sarà per loro un trauma?

“La pandemia ha creato una forzatura nell’ambito dei bisogni del genere umano. La vicinanza è essenziale per il normale sviluppo psicologico e il benessere dei bambini. La separazione da chi si prende cura di loro li spinge verso uno stato di crisi che potrebbe aumentare il rischio di disturbi psichiatrici. I bambini che sono stati isolati o messi in quarantena durante altre pandemie hanno avuto più probabilità di sviluppare disturbi acuti da stress, disturbi di adattamento e sofferenza. Vedere o essere consapevoli di componenti della famiglia gravemente malati e affetti da Coronavirus, assistere alla morte di persone care o anche pensare alla propria morte per il virus può causare in bambini e adolescenti ansia, attacchi di panico, depressione e altre malattie mentali. A tutto questo va aggiunto che molti di loro stanno anche vivendo separazioni dei genitori o situazioni familiari difficili. L’essere umano ha una grande capacità di adattamento, più di quanto si possa immaginare. E’ stato capace di fronteggiare situazioni impattanti emotivamente come le guerre o disastri naturali.  Credo, però, che la grande sofferenza di questa pandemia oggi si configuri con la durata. La prolungata tensione e la continua incertezza su quanto questa situazione possa durare sta trasformando il sentimento di ansia in angoscia collettiva. In questo frangente, penso, quindi, che una delle priorità d’intervento debba essere la formazione alla resilienza. La Scuola e la Sanità dovrebbero collaborare in maniera sinergica per la promozione della salute con azioni di supporto allo sviluppo del sistema emotivo, insegnando a potenziare la capacità di gestione dello stress e la normalizzazione delle emozioni negative, grazie all’aiuto di esperti a supporto di piani educativi”.

Gli adolescenti rispetto ai bambini sono stati maggiormente segnati da questi 14 mesi di pandemia e dall’isolamento sociale a cui sono stati obbligati? Se sì perchè?

“Negli adolescenti e preadolescenti, che vivono un’età in cui l’inclusione e l’accettazione nel gruppo di pari è meta essenziale da raggiungere, la chiusura forzata può aggravare quel senso di solitudine piuttosto frequente in questa fase dello sviluppo. Di conseguenza, aumenta la propensione all’isolamento con il rinchiudersi in camera e trascorrere ore su internet, e la mancanza di contatti fisici con i pari finisce per trasformarsi in un fattore di rischio per conflitti in famiglia. Questa situazione sta impedendo l’interazione e la comunicazione degli studenti con i compagni di scuola, il gioco, gli esercizi e le attività tra pari, che sono vitali per la crescita, l’apprendimento e lo sviluppo delle giovani menti. Con le scuole chiuse, i giovani hanno perso un punto di riferimento e il loro senso di identità potrebbe essere più vulnerabile. Andare a scuola poteva essere una sofferenza prima della pandemia, ma almeno rappresentava una routine da rispettare. Inoltre, la precarietà e l’incertezza dei provvedimenti presi richiede grandi capacità di adattamento.  Per gli adolescenti la possibilità di confrontarsi in contesti positivi è un aspetto cruciale. La salute mentale si basa essenzialmente sulla costruzione di relazioni positive, cioè sull’educazione ad una socialità corretta. Questo è un ruolo fondamentale che se non svolge la Scuola pochi altri possono svolgere. La vita in famiglia è una vita che si caratterizza, soprattutto per gli adolescenti, con il confronto con altre generazioni, con il senso del limite, della regola. I ragazzi che hanno vissuto, e stanno vivendo, con difficoltà il periodo della pandemia reagiscono frequentemente con aumento dell’irritabilità o aggressività, o al contrario con un forte ritiro sociale con sintomi di tipo depressivo. Questa seconda modalità, caratterizza adolescenti che si chiudono in casa e che non vogliono più uscire, perché ad esempio spaventati dalla possibilità di contagiarsi oppure perché trovano rinforzato un atteggiamento già preesistente di una certa difficoltà e disagio a incontrare i propri coetanei”. 

Generazioni passate hanno vissuto esperienze traumatiche, pensiamo alla guerra, alla fame, alla povertà… eppure la generazione dei nostri nonni e dei nostri genitori è estremamente resiliente. Oggi al contrario molti giovani sono più deboli, con scarsa iniziativa, inclini a pensare di avere solo diritti anziché doveri. Cosa è cambiato?

“L’adolescenza può essere considerata come una fase critica del ciclo vitale, attraverso la quale l’individuo si appresta a conquistare lo status di adulto. Nelle generazioni del passato gli adolescenti vivevano uno scenario caratterizzato da minori libertà e una precoce autonomia per contribuire alle necessità di mantenimento di ogni nucleo familiare. L’adolescente di oggi, grazie ai rapidi progressi della tecnologia, ha ormai accesso a una quantità infinita di informazioni che influenzano fortemente tale fase del percorso evolutivo. La necessità di scoprire confini nuovi e sconosciuti si semplifica nel momento in cui le informazioni sono facilmente reperibili, senza la necessità di investire troppe energie. L’adolescenza non si configura soltanto come momento di passaggio alla vita adulta, ma un periodo di sperimentazione che dovrebbe spingere l’individuo a una sorta di rinascita per diventare altro e mettere in discussione le regole e i miti familiari fino a quel momento accettati in maniera automatica. Oggigiorno la pubertà comincia a un’età sempre più precoce, mentre l’adolescenza si sperimenta sempre più tardi. Questo fenomeno che si è verificato negli ultimi cinquant’anni potrebbe essere condizionato dalla nostra cultura fondata su caratteristiche accuditive e controllanti che portano a trattenere i figli all’interno della famiglia d’origine per lungo tempo. Oltretutto tale situazione è sostenuta dal fatto che in Italia negli ultimi anni si è assistito a un precariato economico che non ha favorito l’uscita di casa dei giovani e quindi la difficoltà al raggiungimento dell’autonomia è rafforzata non solo dalla famiglia, ma anche da una struttura sociale che non facilita l’autodeterminazione, rendendo i ragazzi sempre più deboli e meno capaci di avere un’azione diretta sulla realtà”.

Pensi che un’esperienza come quella che stiamo vivendo possa lasciare ai più giovani in eredità qualcosa di positivo? 

“Come tutti i fenomeni traumatici che hanno caratterizzato la storia dell’umanità, credo che a lungo termine questa pandemia lascerà segni indelebili. Confido molto nel potere delle relazioni positive e dato che già diverse ricerche stanno evidenziando la necessità di intervenire precocemente sui soggetti in età evolutiva per ridurre le conseguenze negative di questo periodo, sono dell’idea che sia giusto riattraversare questa situazione con la memoria, per farne tesoro. Attraverso la memoria capire se questo periodo di solitudine forzata ci abbia insegnato qualcosa, per tenere ciò che serve e cercare di non ripetere ciò che ha provocato dolore inutile. Altri dolori invece forse è bene attraversarli perché ci permettono di ascoltare nel profondo e di evolvere. Io mi auguro che i giovani di oggi, che un domani saranno adulti, conservino la memoria di momenti di difficoltà, solitudine o paura di perdere gli affetti più stretti, ma con fermezza e coraggio abbiano il desiderio di salvaguardarli in virtù del proprio benessere ma anche in nome delle relazioni, di cui non possiamo fare a meno”.

Jessica Bianchi