Certificato d’idoneità per gli atleti guariti dal Covid: no alle personalizzazioni

Secondo i protocolli della FMSI - Federazione Medico Sportiva Italiana gli atleti Covid positivi, dopo la negativizzazione del tampone, devono sottoporsi a una rivalutazione, presso il medico o la struttura che ha erogato il certificato, per ottenere il cosiddetto Return to play.

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Gustavo Savino, Direttore della Medicina dello Sport dell'Azienda Usl di Modena

Una procedura di rivalutazione che segue precisi criteri scientifici. La Medicina dello Sport dell’Azienda Usl di Modena ricorda quali sono i protocolli a cui devono sottoporsi atleti professionisti e non guariti dal Covid per ottenere la riattivazione del certificato di idoneità sportiva. Come noto, il documento permette di partecipare a competizioni agonistiche e allenamenti. Dall’inizio della pandemia, infatti, succede che atleti modenesi in possesso del certificato si positivizzino al Covid: ciò determina una temporanea sospensione della validità del certificato di idoneità, dati i potenziali rischi che la malattia provoca sull’apparato cardiovascolare. Secondo i protocolli della FMSI – Federazione Medico Sportiva Italiana gli atleti Covid positivi, dopo la negativizzazione del tampone, devono sottoporsi a una rivalutazione, presso il medico o la struttura che ha erogato il certificato, per ottenere il cosiddetto Return to play. 

In particolare, si tratta di un documento che riabilita la validità del certificato dopo una rivalutazione che, a seconda della gravità della sintomatologia sofferta dall’atleta col Covid, consiste in alcuni esami che variano al variare della gravità della situazione. Stesso percorso per i non professionisti, ma con la differenza che devono passare almeno 30 giorni dalla negativizzazione del tampone o dalla data di fine isolamento prima di sottoporsi alla rivalutazione.  Caso diverso se il non professionista dichiari e dimostri di dovere partecipare a una competizione di livello nazionale: in questo caso potrà avvalersi del protocollo dei professionisti e non aspettare i 30 giorni.

“Stiamo ricevendo notizie relative a pericolose ‘personalizzazioni’ del protocollo FMSI/Ministeriale che, messe in atto per concedere il Return to play più rapidamente possibile, trascurano importanti step diagnostici. La tempistica dei 30 giorni per i non professionisti e la tipologia degli esami per le rivalutazioni – afferma Gustavo Savino, Direttore della Medicina dello Sport dell’Azienda USL di Modena – si basano su un razionale scientifico che non è possibile trascurare. A proposito mi piacerebbe sottolineare che chiunque adotti protocolli differenti a quelli descritti nei documenti ufficiali, espone l’atleta a potenziali rischi per la salute e sé stesso a conseguenze legali qualora lo sportivo dovesse avere problemi di salute dopo la ripresa dell’attività”