Per forza, non per amore: il dramma delle spose bambine

“Innanzitutto bisogna distinguere tra matrimoni forzati, precoci e combinati” precisa Barbara Giovanna Bello, professoressa a contratto in Social mobility and social inequality presso l’Università Statale di Milano, e impegnata anche con il CRID - Centro di ricerca interdipartimentale su Discriminazione e vulnerabilità dell’Università di Modena e Reggio Emilia

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L’ultimo caso è del gennaio scorso quando a Novellara una ragazza di 18 anni si è ribellata al matrimonio con un cugino in Pakistan: ha chiesto aiuto ai servizi sociali del suo paese e ha trovato rifugio in una struttura protetta.

Nella pagina relativa allo stato civile degli stranieri residenti, nel 2016 i dati statistici rilevavano la presenza a Carpi di una ragazzina di quindici anni coniugata, una sposa bambina che aveva contratto matrimonio ben prima di arrivare qui.

“Mancano statistiche e ricerche sui matrimoni forzati e, rispetto ad altre forme di violenza contro le donne, l’impegno nelle azioni di contrasto non è ancora sufficiente” afferma Barbara Giovanna Bello, professoressa a contratto in Social mobility and social inequality presso l’Università Statale di Milano, e impegnata anche con il CRID – Centro di ricerca interdipartimentale su Discriminazione e vulnerabilità dell’Università di Modena e Reggio Emilia (www.crid.unimore.it), presso il quale si occupa di tutela dei diritti delle donne e dei minori nell’ambito dell’Osservatorio Migrazioni.

A disposizione c’è la ricerca qualitativa di Daniela Danna in base alla quale nel 2008 in Emilia Romagna erano stati 33 i matrimoni forzati intercettati e, nel 2013, lo studio di Le Onde Onlus che individuava le comunità più a rischio: Ciad, Niger, Guinea, Repubblica Centrafricana, India, Bangladesh, Etiopia in base a dati forniti dall’Unicef.

“Innanzitutto bisogna distinguere tra matrimoni forzati, precoci e combinati” precisa la professoressa Bello sollevando il velo su spaccati di realtà che non possono lasciare indifferenti.

Matrimoni forzati: ora c’è l’articolo 588 bis del codice penale

A seguito della legge 69 del 2019 (il cosiddetto codice rosso) è stato introdotto nel codice penale l’articolo 588 bis che sanziona i matrimoni forzati in cui è evidente l’elemento della coercizione. “Dopo la Convenzione di Istanbul del 2011 – ratificata dall’Italia nel 2013 ed entrata in vigore nel 2014 – che già sollecita gli Stati ad adottare misure legislative o di altro tipo necessarie per sanzionare penalmente i matrimoni forzati, l’art. 588 bis del codice penale offre un ulteriore strumento per sanzionare chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile, con una reclusione che va da uno a cinque anni con aggravante della pena da due a sette anni se il soggetto costretto a contrarre matrimonio è minore di quattordici anni. La norma vale anche se il fatto è commesso all’estero da cittadini italiani o stranieri residenti in Italia o ai danni di cittadini italiani. Tale disposizione è rilevante perché in alcuni Paesi europei, ad esempio nel Regno Unito, da almeno dieci anni si osserva, il fenomeno della sparizione di bambini che, dopo le vacanze estive nei Paesi d’origine delle famiglie, non fanno ritorno a scuola.

In base ad alcuni studi qualitativi su più piccola scala in alcuni Paesi europei, vittime di matrimoni forzati sono anche giovani omosessuali, lesbiche o con identità di genere non conforme a quella assegnata nei documenti, costretti a un matrimonio eterosessuale proprio per l’eteronormatività che contraddistingue la nostra società in generale ma alcune comunità in particolare come quelle musulmane o rom. Per queste ultime non mi riferisco a quelle presenti in Italia, su cui non abbiamo dati, ma ad alcuni contesti marginalizzati nell’est Europa (ad esempio nella repubblica ceca) dove ci sono ghetti in cui maggiori sono le relazioni di comunità e il controllo sociale e in cui l’apertura verso identità altre non è ancora diffusa”.

Matrimoni precoci: il caso di Sassari

In alcuni casi i matrimoni precoci si sovrappongono ai matrimoni forzati ma non quando i soggetti sono, per esempio, consenzienti.

“Lo Stato italiano fissa la capacità matrimoniale a 18 anni – spiega la Prof.ssa Bello – e si può contrarre matrimonio dai 16 anni previa autorizzazione del Tribunale per i minorenni che deve accertare la maturità psicofisica e la fondatezza delle ragioni addotte. La precocità è un indicatore della possibilità che si tratti di un matrimonio forzato ma ci sono casi in cui il matrimonio precoce non è percepito come forzato ed è addirittura scelto. Nella comunità rom in Italia il matrimonio è una pratica sociale, spesso non viene registrato e quindi non ha effetti civili in base all’ordinamento italiano. Il progetto Merry when you are ready della Romny onlus, volto a sensibilizzare sull’accesso all’istruzione dei giovani rom e sull’innalzamento dell’età dei matrimoni, e la ricerca Non ho l’età condotta nelle baraccopoli di Roma dall’Associazione 21 luglio evidenziano che nelle comunità rom ci sono matrimoni precoci ma non necessariamente forzati. Spesso avvengono tra soggetti della stessa età, a differenza dei matrimoni forzati in Afghanistan o Yemen dove c’è grande disparità di età tra i soggetti, e la convivenza more uxorio viene scelta anche per la situazione di marginalità sociale ed estrema povertà.

Il fenomeno dei matrimoni forzati e precoci è strettamente legato alla situazione di povertà e marginalizzazione sociale: in mancanza della possibilità di accedere all’istruzione, l’alternativa è quella di emanciparsi attraverso il matrimonio come accadeva anche in Italia più di cinquant’anni fa.

La giurisprudenza comunque non accetta questo matrimonio culturale: segnalo il caso del tribunale di Sassari che riguarda il matrimonio tra una ragazza di 15 e un giovane di 25 anni, condannato perché dal punto di vista del codice italiano erano avvenuti atti sessuali con una minorenne di 16 anni, per quanto consenziente.

Matrimoni combinati: il sottile confine coi matrimoni forzati

“I matrimoni combinati sono un’altra fattispecie ancora nel senso che, attenendoci alle definizioni, si tratta di quei matrimoni in cui le famiglie hanno un ruolo di facilitazione ma il consenso degli sposi è presunto libero. Ovviamente i confini tra matrimonio combinato e forzato sono labili.

Pur non essendoci coercizione e minaccia può scattare la paura di disattendere delle aspettative sociali o di non preservare l’onore della famiglia.

Non una ma molte violenze

In generale, i divieti internazionali tutelano le bambine e le ragazze dai matrimoni forzati evitando loro gravidanze precoci e multiple che mettono a rischio la salute e la stessa sopravvivenza anche perché c’è tutta una serie di violenze collegate: quando entrano nella sfera domestica del marito spesso subiscono violenze anche da parte dei familiari. In India e Paesi limitrofi sono segnalati incidenti dell’acqua bollente perché quando le spose giovani o bambine si ribellano, le suocere versano loro addosso l’acqua bollente per punirle. Tali casi spesso non vengono denunciati come forme di violenza ma come “incidenti domestici”. Anche qui non ci sono statistiche ed è difficile misurare l’entità del fenomeno, ma sono esempi che aiutano a comprendere come i matrimoni forzati aprano a ulteriori violenze: spesso si tratta di giovani che arrivano dai villaggi e, oltre a subire atti sessuali da mariti molto più grandi di loro, sono viste come serve adibite ai lavori domestici, vivono nell’isolamento sociale, prive di autonomia economica e di percorsi di istruzione”.

C’è la consapevolezza della necessità di chiedere aiuto?

“Nel Regno Unito è stata istituita una Forced Marriage Unit e i casi segnalati sono numerosi perché con le campagne di sensibilizzazione la consapevolezza è gradualmente accresciuta.

In Italia dobbiamo interrogarci sugli strumenti a disposizione e sulle lacune attuali. Pur avendo lo strumento legislativo, l’articolo 588 bis del codice penale rischia di rimanere lettera morta per varie ragioni a partire dal fatto che non è stata attuata una campagna per informare le potenziali vittime. Inoltre, lo strumento penale può inibire la denuncia: se il fenomeno infatti riguarda principalmente ragazze e bambine che appartengono a famiglie migranti, lo status di residente dei genitori può essere anche precario, a breve termine o addirittura possono trovarsi in una posizione di irregolarità. Una ragazza può voler scappare da un matrimonio forzato ma non desiderare che il padre finisca in carcere oppure rischi di venire espulso. Questi sono effetti a cui il legislatore probabilmente non ha pensato e possono generare un sommerso che non viene denunciato”. In caso di aiuto se non ci si vuole rivolgere alle forze dell’ordine, si può chiamare il numero contro la violenza di genere 1522 o contattare i Centri antiviolenza.

La pandemia di Covid-19 non può che peggiorare le cose. “Il numero dei matrimoni forzati è destinato ad aumentare – conclude Bello – in seguito all’impoverimento ulteriore delle famiglie, come segnalato da numerose organizzazioni internazionali”.

Sara Gelli