Generazione Covid

Angoscia, solitudine e confusione ma anche capacità di adattamento, occasione di crescita e speranza: è quello che emerge da un breve questionario a cui hanno risposto ragazzi e ragazze del territorio, con età compresa tra i 17 e i 25 anni. Un modo pensato da CIF per dare voce a coloro che in questi mesi sono stati gli invisibili, i dimenticati.

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Angoscia, solitudine e confusione ma anche capacità di adattamento, occasione di crescita e  speranza:è quello che emerge da un breve questionario a cui hanno risposto ragazzi e ragazze del territorio, con età compresa tra i 17 e i 25 anni. Un modo pensato da CIFCentro Italiano Femminile di Carpi per dare voce a coloro che in questi mesi sono stati gli invisibili, i dimenticati.  Poco o per nulla menzionata in decreti e provvedimenti, quasi mai al centro del dibattito pubblico, additata in modo ostinato dai media come capro espiatorio di ogni nuova impennata della curva dei contagi: è la Generazione Covid, ragazzi con un’età compresa tra 18 e 30 anni che stanno pagando il prezzo più alto di questa pandemia senza mai essere ascoltati veramente da chi deve decidere sul loro presente e sul loro futuro. Ecco la loro voce.  Alla prima domanda in cui si chiedeva loro di pensare alle parole e alle immagini che userebbero per descrivere questo tempo, per alcuni ragazzi le immagini utilizzate hanno a che fare con la situazione di blocco e incertezza che stanno vivendo, come Niccolò 20 anni che usa l’immagine di una bolla “perché mi sento intrappolato in un incubo dal quale non ho la certezza di svegliarmi.” Un blocco che in alcuni casi sembra legato alla rassegnazione come per Giulia 20 anni, che usa l’immagine di un fumetto stilizzato, in bianco e nero, in cui si vede una persona dietro a una finestra che guarda il nulla. “Il suo stato d’animo è apatico e rassegnato, e la sua espressione è totalmente neutra”.  Per altri è vissuto anche come perdita di relazioni e di esperienze come rappresenta bene Giovanni scegliendo come immagine quella di “un collage di tutti i ragazzi (compreso me) che l’anno scorso hanno passato ore davanti al computer, senza uscire; sono stati momenti che abbiamo perso, un intero anno che abbiamo perso”.  Anche Sara, 25 anni fa riferimento alla realtà virtuale per descrivere questo anno di pandemia “Questo tempo è stato come vivere nel film Ready Player One: un mondo problematico fa da sfondo alle vite di adolescenti che usano la rete, il gioco in realtà virtuale per costruire la loro vera vita”. Elisa, 20 anni, invece usa l’immagine del tasto RESET del computer perché “è come se periodicamente fossi stata costretta a schiacciare il tasto RESET, a riorganizzarmi in base all’evoluzione degli effetti del virus e alle norme che venivano decise. Ho scoperto di essere capace di reinventarmi sempre e affrontare tutto”. Gloria, 17 anni, descrive il suo vissuto in questo periodo simile all’alternanza delle stagioni. “Come dall’equinozio d’autunno le ore di luce diminuiscono, per poi arrivare alla notte più lunga durante il solstizio d’inverno, questa pandemia in certi momenti ha visto il prevalere della paura. Ma in seguito, la speranza ha iniziato a farsi sentire, anche grazie all’imminente vaccino, proprio come le ore di luce cominciano ad aumentare di nuovo dopo il solstizio invernale, prevalendo sempre più sul buio”. Letizia, 21 anni, invece vede questo tempo di blocco come un orto: “Uno spazio personale, piccolo e recintato, in cui sistemare il terreno per piantare e coltivare qualcosa oppure scegliere di restare tra le erbacce”. Per quanto riguarda le parole più usate ansia, paura e noia sono risultate le emozioni dominanti legate alle parole attesa, distanza, solitudine ma molti hanno parlato anche di riflessione e crescita,  facendo emergere non solo lo spirito di adattamento dei giovani ma anche la loro capacità di vivere il momento in modo costruttivo. Irene, 17 anni, usa la parola attesa, una parola che per lei non ha necessariamente un’accezione positiva o negativa. “È un tempo sicuramente pesante e di incertezza per tutti, che, però, sento personalmente come attesa, appunto: attesa che cambi qualcosa, attesa di rivedere i miei amici e poterli riabbracciare, attesa di poter tornare alla normalità”. Erica parla di ansia, paura e noia: “Ansia perché la situazione in sé mi crea ansia, come mi crea ansia anche il bombardamento mediatico. Paura per il fatto che possa durare troppo questo periodo e che non si riesca a sconfiggere il covid. Noia perché purtroppo le restrizioni e il lockdown (e la mancanza di lavoro) costringono a passare giornate monotone e uguali nonostante io mi dedichi molto alla lettura”. Per Nicola, 17 anni, invece le parole sono: “distanza dai propri amici o dai propri cari; numeri: i continui numeri in aumento con lo straziante appuntamento del telegiornale che ogni giorno ripeteva sempre le stesse cose; solitudine: ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire passare un periodo di quarantena, vivendo nella stessa casa ma con un costante sentimento di solitudine, si ha tempo per pensare in questi momenti, anche riflettere, sulla gravità del periodo in cui ci troviamo”. Molti ragazzi sottolineano come il periodo di lockdown abbia rappresentato per loro l’occasione di riflettere su se stessi, come ben descrive questa ragazza di 18 anni: “Durante questo periodo ho avuto modo di riflettere e ragionare su ogni singolo aspetto della mia vita personale. Molte sono le considerazioni sorte, alcune portatrici di sconforto paragonato ad un sentimento di solitudine e nostalgia, altre portatrici di riconoscenza intesa come senso di gratitudine a quanto mi è stato dato dalla fortuna, iniziando dalla famiglia”. Sara, 26 anni, scrive: “il tempo trascorso mi ha aiutato a riflettere di più sulla mia condizione. Mi ero appena laureata e avevo tutto il tempo per decidere cosa fare e in che ambito lavorare. Mi sono concentrata non solo su me stessa, ma anche sui miei familiari ai quali, se possibile, sono diventata più legata. Nel complesso quindi non posso giudicare troppo male questo periodo perché siamo riusciti a gestirlo bene prendendo tutto quello che di positivo ha saputo darci”.  Per Gabriele, 25 anni, questo tempo è stato vissuto come un’occasione di crescita importante “perché mi ha permesso di rallentare, di riflettere sul mio percorso di vita. Mi ha dato nuova linfa in un momento in cui ero nel limbo tra maturità ed essere infantile. Probabilmente senza questa disgrazia, ci avrei impiegato un po’ più tempo”. Anche Alice, usa le parole riflessione e sviluppo personale: c’è “il pensiero di non poter più abbracciare e di essere a distanza da amici e familiari ma anche il fatto di poter sfruttare più a piacere il tempo libero, approfondendo diversi aspetti artistici, data la mia passione per l’arte”. Allo stesso modo Silvia usa la parola pensieri per descrivere come, anche per lei, questo momento sia stata un’opportunità per riflettere su se stessa e sulla sua vita. Per Susanna, 18 anni, il primo lockdown ha rappresentato un “momento di crescita personale molto forte che mi ha visto per la prima volta nei miei diciotto anni di vita isolata dalle persone a cui voglio bene. Marzo e aprile erano comunque intrisi di speranza, ottimismo, mentre gli ultimi mesi sono stati percepiti, da me perlomeno, come il continuo di una situazione senza fine, che andrà avanti fino a non si sa quando. Speranza e disperazione sono i due sentimenti che per me hanno segnato questo 2020”. 

La seconda domanda che abbiamo posto ai ragazzi riguardava la solitudine: “c’è chi sostiene che pause di silenzio vanno addirittura favorite per ristabilire i nostri equilibri, per riflettere sulle nostre relazioni, ma questa solitudine è stata per tutti costruttiva? Tu come l’hai vissuta? ”. Quasi tutti i ragazzi hanno riconosciuto l’importanza di avere dei momenti di solitudine anche se non tutti erano pronti come dice Susanna “bisogna saper stare da soli, e di questo sono sicura, ma per saperlo fare bisogna essere a parer mio più forti di quanto non sembri. E non tutti erano pronti ad esserlo quando purtroppo vi si sono trovati. Sicuramente questa situazione ha messo alla prova le priorità di ognuno e il fattore della solitudine ha contribuito a farlo”. Riconoscono che, se ben usati, i momenti di solitudine diventano costruttivi, occasioni non solo per rafforzarsi ma anche per dedicarsi a se stessi e ai propri interessi. E’ anche vero che dopo quasi un anno iniziano a sentirne il peso, perché, come dice emblematicamente Erica, “a me (che sono introversa) ha giovato un po’ ma alla fine mi ha anche stancata, come si suol dire il troppo stroppia e anche una persona introversa dopo un po’ ha bisogno di vedere altre persone.” I ragazzi colgono i pericoli legati alla troppa solitudine come giustamente rileva Nicola: “puoi perdere contatti con la società, con l’esterno. La solitudine deve essere moderata e durante questo anno abbiamo potuto capire che cosa provano anche tutte quelle persone che sono sole per tutta la loro vita cosa provano, giorno dopo giorno, ciò ci deve far capire che ognuno di noi può e deve essere accettato da tutti, in modo che nessuno sia solo troppo a lungo”.  O come ci racconta Gloria: “ La solitudine per me è stata costruttiva in certi casi, ma anche molto dura in altri. Infatti, da una parte sono diventata più sicura di me e ho imparato a pensare meno al giudizio degli altri; dall’altra parte, ho perso il contatto con il mondo esterno e le persone. Credo che questo abbia cambiato il mio modo di relazionarmi con gli altri: quando in estate tutti hanno ripreso ad uscire, io ho trovato difficoltà nel farlo e mi ci è voluto più tempo per trovarmi in tranquillità con i miei amici”.

La terza domanda che abbiamo sottoposto ai ragazzi riguardava il loro futuro, come lo immaginano e soprattutto che cambiamento chiederebbero a chi ci governa.
Ecco, a questa domanda, abbiamo notato una netta differenza tra chi sta ancora frequentando la scuola superiore e chi invece l’ha già finita e ha intrapreso l’università. I primi hanno ancora una visione del futuro positiva, hanno i loro sogni e progetti mentre chi ha iniziato l’università o addirittura chi ha terminato la magistrale è molto sfiduciato e preoccupato. A chi ci governa chiedono più attenzione per l’ambiente, per i più fragili, per la scuola. Ma la maggior parte di loro non ha fiducia sulla capacità di chi ci governa di cambiare le cose, perché i problemi sono tanti ma anche perché la classe politica è troppo vecchia o troppo preoccupata a litigare per interessi di partito. 

Rispetto proprio alla scuola abbiamo chiesto quanto ha inciso il non poter vivere la scuola in presenza e quali sono gli aspetti positivi e negativi della didattica a distanza.
Rappresentativa di tutte le risposte è quella di Irene “La didattica a distanza limita tutto quello che è inerente alle relazioni umane e, tutto sommato, basta spegnere microfono e videocamera per evitare confronti diretti. Ci si concentra molto di più sull’aspetto nozionistico che, per quanto importante, non ci permette di formarci a tutto tondo. Diciamo che non avrei mai immaginato di “perdere” due anni di liceo per colpa di un virus. Manca tutta la parte del rapporto con le persone, manca l’intervallo con i miei amici o la fila alle macchinette, mancano le gite di classe e i progetti extrascolastici: tutti quegli aspetti che rendevano la scuola un po’ più divertente”. Come aspetti positivi della DAD i ragazzi hanno individuato i seguenti: meno ansia durante interrogazioni e compiti, possibilità di organizzarsi e riascoltare le lezioni (soprattutto all’Università), minore perdita di tempo negli spostamenti, possibilità di dormire di più la mattina e non doversi alzare troppo presto (per chi studia fuori sede). Aspetti negativi: mancanza di contatto umano con professori e compagni, difficoltà nella connessione internet, mancanza di un luogo tranquillo in casa dove seguire le lezioni, noia e difficoltà a mantenere l’attenzione per tante ore, maggiore stanchezza, aumento del carico di studio e compiti da parte di alcuni professori. 

L’ultima domanda ha riguardato i social, se li hanno vissuti come una risorsa o un limite.
Per tutti i ragazzi i social hanno rappresentato l’occasione per rimanere in contatto con gli amici e anche informati come spiegano bene Gloria e Giovanni, riconoscendone i limiti e i pericoli in particolare riguardo alle fake news. Gloria: “Per me il ricorso ai social è stata una risorsa, perché sono potuta rimanere informata, almeno in minima parte, sulle vite dei miei amici e sono riuscita a rimanere in contatto con loro, anche se solo tramite un semplice schermo”.
Giovanni: “i social al giorno d’oggi sono molto utili per restare informati su ciò che succede intorno a noi, le notizie viaggiano molto più velocemente grazie a questi ultimi. Bisogna però essere bravi a distinguere il vero dal falso, come bisogna essere bravi ad usare i social nel modo corretto, cercando anche di sfruttarli al massimo in qualsiasi ambito vengano utilizzati”. 

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