Il Natale secondo il vescovo Castellucci

Il messaggio del Vescovo Erio Castellucci in occasione di questo Natale 2020. “Mai come quest’anno risuona attuale l’invito alla semplicità avanzato da Etty a metà del secolo scorso. Riscoprire semplicemente che tutto è dono e non diritto”.

0
1033
il Vescovo Erio Castellucci

La notizia è stata accolta in Cattedrale da un lungo applauso ma non ha colto di sorpresa: l’arcivescovo di Modena-Nonantola monsignor Erio Castellucci è stato chiamato da Papa Francesco alla guida della Diocesi di Carpi di cui da un anno e mezzo era amministratore apostolico. La comunicazione è stata data lunedì 7 dicembre, alle 12, in Cattedrale a Carpi, in contemporanea con la Sala Stampa vaticana. Ecco il messaggio del Vescovo Erio Castellucci in occasione di questo Natale 2020.

Più di una volta la giovane ebrea olandese Etty Hillesum, uccisa nel campo di sterminio di Auschwitz il 30 novembre 1943, annota verso la fine del suo Diario la necessità di purificare le parole. Scrive che si devono «dimenticare» parole come Dio, morte, dolore, eternità, per «diventare semplici e senza parole come il grano che cresce, o la pioggia che cade», come «pura acqua di sorgente» (9 e 11 luglio 1942). Nel mezzo della cieca violenza e dell’assurda persecuzione antiebraica esercitata dagli occupanti nazisti, Etty sente che le parole devono essere riconquistate, caricate nuovamente del loro peso autentico, restituite al loro valore originario. Non per negare la realtà che esprimono – il Diario attesta al contrario un’intensificazione graduale nella ricerca di Dio, del senso della vita, della morte e del dolore e un’apertura all’eternità – ma per poterle dire di nuovo con più forza.

Quest’anno il Natale giunge nel mezzo di una sofferenza planetaria, la pandemia, paragonabile ormai ad una grande guerra per quantità di morti, feriti, impoveriti e impauriti. La crisi sanitaria si mescola alla crisi economica e sociale e prospetta crisi politiche e spirituali profonde. È tempo, direbbe la giovane ebrea, di dimenticare le grandi parole e diventare semplici, per farle risuonare nel loro vero spessore. A prima vista le quattro parole menzionate da Etty hanno poco a che vedere con il Natale: Dio, morte, dolore, eternità, evocano semmai la Pasqua. Ma quella nascita di venti secoli fa concentra in realtà un misto di gioia e dolore, di umiltà e gloria, di inizio e fine. Il Dio potente spunta nel mondo umano attraverso una mangiatoia; Giuseppe e Maria sono costretti ad accoglierlo in una stalla, perché gli alberghi umani li hanno respinti; il figlio dell’Altissimo non viene alla luce tra incensi e pietre preziose, ma tra animali e paglia, anticipando lo stile povero della sua vita terrena, che si chiuderà addirittura sulla croce. È il paradosso del Natale, che celebra la semplicità del dono, senza gli orpelli del lusso e della ricchezza.

Mai come quest’anno risuona attuale l’invito alla semplicità avanzato da Etty a metà del secolo scorso. Riscoprire semplicemente che tutto è dono e non diritto. Forse avevamo dimenticato che la vita e la salute sono doni; che sono doni i nonni e i genitori, gli abbracci e la libertà di muoverci; che la scuola, il lavoro, lo sport, gli incontri con amici e parenti, le passeggiate… sono doni. Dobbiamo purificare proprio questa parola così inflazionata, «dono», per riappropriarci della sua magia. L’avevamo svuotata del suo senso di gratuità – al punto da rendere obbligatorio l’uso di scambiarci dei regali ben calcolati – e ora dobbiamo riscoprirlo. Il Natale, nel suo nucleo, è il dono più grande atteso dall’umanità: Dio che si fa carne, il cielo che tocca la terra. Dalla forza simbolica e reale di questo dono sorge ogni altro dono: e chiunque regala gratuitamente tempo ed energie, affetti e tenerezza al prossimo, specialmente a chi è diventato fragile come il corpo di un neonato e necessita di carezze e di cure, riflette un raggio di quel grande dono di Dio che è Gesù.