Covid e salute mentale: è allarme depressione?

Più depressi, più ansiosi, più preoccupati. E’ questa la fotografia della salute mentale di molti dopo la fase acuta dell’emergenza di Covid-19. L’isolamento tra le mura domestiche espone a un rischio di maggiori disturbi della psiche? Con quali traumi ci dobbiamo confrontare? A rispondere è il dottor Giuseppe Tibaldi, psichiatra, nonché direttore dell’Unità di Salute mentale dell’Area Nord dell’Ausl.

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Il dottor Giuseppe Tibaldi

Più depressi, più ansiosi, più preoccupati. E’ questa la fotografia della salute mentale di molti dopo la fase acuta dell’emergenza di Covid-19. L’isolamento tra le mura domestiche espone a un rischio di maggiori disturbi della psiche? Con quali traumi ci dobbiamo confrontare? A rispondere è il dottor Giuseppe Tibaldi, psichiatra, nonché direttore, da inizio 2018, dell’Unità di Salute Mentale dell’Area Nord dell’Ausl di Modena.

Dottor Tibaldi, come l’emergenza ha influito sulla salute mentale delle persone già affette da patologie psichiatriche?

“Ha certamente influito poiché l’accesso ai nostri servizi è stato bruscamente ridimensionato. Il lockdown ci ha fatti “dimagrire” rispetto alla gamma precedente della nostra offerta, in risposta ai bisogni e alla sofferenza delle persone, ma ora stiamo facendo di tutto per “ingrassare” nuovamente. E in fretta. Molti nostri pazienti hanno ben tollerato questo scenario mutato e hanno accettato volentieri il passaggio dalle visite in presenza a quelle in remoto, attraverso telefonate e videochiamate. Un cambiamento di modalità di relazione che ci ha permesso di tenere sempre aperto il canale di comunicazione e che ora si alterna ai contatti diretti, dal momento che dobbiamo rispettare norme vincolanti, in base alle quali ogni servizio deve prevedere un numero massimo di persone contemporaneamente presenti. Al contrario, per chi non possedeva gli strumenti tecnologici per aderire alla proposta da remoto e per chi viveva un momento di maggiore fragilità abbiamo garantito la possibilità di accedere ai nostri servizi di salute mentale in regime di urgenza. Vi sono persone che durante il lockdown si sono chiuse ancora di più nel proprio bozzolo e adesso sono meno inclini a farsi seguire dai nostri professionisti: per questo motivo, ci stiamo spendendo per riprendere i contatti con loro anche a livello domiciliare. D’altronde, una delle linee guida del Dipartimento di Salute Mentale, per questa fase, è proprio quello di riavviare, e potenziare, il più possibile, le visite a domicilio soprattutto per chi, tradizionalmente, fatica maggiormente ad accedere al centro. Ci tengo però a sottolineare come sia sempre rimasto attivo il Day Hospital, servizio fondamentale per seguire le persone che attraversano fasi di maggior instabilità e garantire loro la necessaria continuità assistenziale, senza dover ricorrere al ricovero. Gli inserimenti in comunità, nelle strutture  riabilitative, sono ricominciati solo da un paio di settimane: lo stop forzato ha interrotto numerosi percorsi di cura in essere e alcuni sono dovuti rimanere ricoverati più a lungo per mancanza di alternative. Effetti collaterali della pandemia a cui abbiamo dovuto far fronte ma ora, fortunatamente, le cose stanno gradualmente migliorando”.

L’isolamento e lo stress legato all’incertezza di questa situazione come influiscono su ciascuno di noi?

“Da un lato, alcune persone stanno vivendo un vero e proprio trauma, ovvero quello legato alla perdita di persone care. Sappiamo quanto le cerimonie di addio siano fondamentali per affrontare e superare il lutto, ma il Covid ha reso tutto più difficile. Non poter prendere commiato da chi si ama complica l’elaborazione del lutto. Sappiamo che il funerale, è per definizione, il primo momento di elaborazione condivisa: non poter contare sul proprio universo familiare in questi momenti rende tutto molto più difficile da affrontare. Questa diversa – e imposta – elaborazione della morte ha senza dubbio generato degli effetti depressivi, quelli che molti colleghi fanno rientrare nel disturbo post traumatico da stress, dove l’elemento centrale è proprio il trauma. Poi sappiamo che la reazione di adattamento a tale evento traumatico può complicarsi e trasformarsi in una situazione con valenze ansiose e depressive. Possono comparire inappetenza, disturbi del sonno, incubi… anche per lunghi periodi. Anche coloro che hanno dovuto rinunciare alla propria attività lavorativa e affrontare le inevitabili conseguenze economiche è entrato per così dire in una situazione analoga ad un lutto. Poi vi sono altre reazioni, più lievi, legate al tema dell’imposizione: nessuno di noi accetta di buon grado l’imposizione del cambiamento dei propri stili di vita. Questa assenza di alternative genera stress. Il fatto che tali obblighi fossero condivisi ne ha certamente alleviato l’impatto, ma è stato un boccone amaro da digerire. La ripresa della socialità ha prodotto effetti terapeutici collettivi, però è chiaro che il nucleo della sofferenza, ovvero le limitazioni subìte che ci hanno confinato in uno spazio separato rispetto alla nostra rete personale, è stato stressante”.

Molti hanno ancora timore a uscire di casa…

“Malgrado l’evoluzione epidemiologica sia rassicurante, la comunicazione è ancora profondamente improntata alla prudenza: il virus continua a essere presente ed è essenziale difendersi, utilizzando dispositivi di protezione e lavandosi frequentemente le mani. Alcune persone vivono questa minaccia persistente con grande intensità e dunque prediligono restare tra le mura domestiche, dove hanno costruito una sorta di equilibrio. Molti parlano di una possibile seconda ondata di contagi a partire dall’autunno: chi vive questo scenario come una minaccia personale, e non collettiva, sarà certamente più propenso a limitare le uscite”.

Il lockdown pensa abbia generato un aumento delle dipendenze soprattutto da alcol?

“Nelle situazioni di stress, il rischio di ricorrere al potere ansiolitico degli alcolici è alto; purtroppo, è tra le strategie più diffuse di controllo (apparente) dell’ansia. Se tale misura di contenimento è stata transitoria, durante i mesi del lockdown, è accettabile e dubito possa sfociare in una dipendenza permanente”.

Suicidi in aumento, l’allarme arriva dal presidente dell’Osservatorio violenza e suicidio, lo psicoterapeuta Stefano Callipo. “Stiamo registrando tantissimi casi di suicidio in questo periodo, l’ultimo a Ragusa dove un commerciante padre di tre figli si è tolto la vita. Un picco che reputiamo importante, legato alle difficoltà economiche di questo periodo e che non riguarda solo gli imprenditori ma anche le singole famiglie. Purtroppo prevedo che questo picco tenderà ancora ad aumentare”. Qual è il suo pensiero in merito? Cosa dobbiamo aspettarci?

“Per tirare le somme dobbiamo aspettare i dati epidemiologici, prodotti a livello regionale e nazionale, alla fine dell’anno: solo allora potremo  verificare se vi sarà stato o meno un picco. L’Italia è uno dei Paesi col più basso tasso di suicidi in Europa, con un rapporto di almeno 1 a 4-5 rispetto al Nord Europa e ai paesi dell’ex Unione Sovietica. Certo questo allarme non può essere in alcun modo sottovalutato, poiché l’impatto del Covid sull’economia è pesantissimo e sappiamo che perdere il lavoro ha un effetto profondamente destabilizzante. Le misure del Governo secondo cui nessuno debba essere licenziato fino alla fine dell’anno, proteggono soltanto i lavoratori dipendenti, ma non le altre categorie di lavoratori autonomi, dagli artigiani ai commercianti, dalle partite Iva agli stessi imprenditori. Sappiamo che uno dei fattori che favorisce il suicidio è proprio il repentino cambio di status economico poiché spesso la persona che vede il suo reddito crollare sente di non avere alcuna possibilità di ripresa. Nessuna alternativa. Il rischio aumenta, tra l’altro, soprattutto tra gli uomini sopra i 50 anni. Dovremo quindi prestare la massima attenzione a tutte le segnalazioni relative a persone che subiscano bruschi cambiamenti di status economico”.

Jessica Bianchi