Il Covid ha ridisegnato il volto del Pronto Soccorso

Per mesi le persone non si sono avvicinate al Pronto Soccorso per paura di contrarre il virus ma, ammette la dottoressa Chiara Pesci, ora gli accessi si sono triplicati, “quasi 100 al giorno, come se tutto fosse finito”. Il peggio in termini di numeri è passato ma la parola d’ordine resta cautela: “non sappiamo per quanto tempo il virus continuerà a circolare quindi invito tutti a recarsi in PS solo se strettamente necessario. Chi soffre di patologie croniche o di altre problematiche non urgenti deve imparare a rivolgersi ai canali giusti, a partire dal proprio medico di famiglia”.

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dottoressa Chiara Pesci

“Il momento più duro? Sicuramente quando intorno a noi c’erano moltissimi pazienti sottoposti a ventilazione e i numeri continuavano a salire. Ci sono stati giorni in cui ho temuto che non saremmo stati in grado di rispondere alla marea montante a cui stavamo assistendo. Abbiamo tenuto duro però, tutti noi, medici, infermieri, operatori socio-sanitari e autisti di ambulanza, e malgrado l’enorme carico assistenziale, con grandi sacrifici, siamo riusciti a resistere. Mi permetta però di esprimere prima di tutto un pensiero di vicinanza per chi non ce l’ha fatta e per chi ha perduto un proprio congiunto o amico a causa del coronavirus e a tutti i colleghi deceduti: a loro vorrei dedicare un grande abbraccio”. A parlare è la dottoressa Chiara Pesci, direttore del Pronto Soccorso e della Medicina d’urgenza dell’Ospedale Ramazzini di Carpi.

Lo tsunami che ci ha investiti ha completamente cambiato il volto del nostro nosocomio, a partire dal Pronto Soccorso, la porta d’accesso alla cura per antonomasia. L’arrivo del Covid-19, prosegue la dottoressa Pesci, ha “comportato una totale riorganizzazione della nostra unità operativa. All’inizio, in città, l’emergenza non è stata subito esplosiva e quindi abbiamo avuto il tempo di ripensare i percorsi insieme all’azienda sanitaria e, quando gli accessi hanno iniziato a crescere, eravamo già, in linea di massima, organizzati”. Il percorso, a tutt’oggi non modificato, prevede una fondamentale operazione di pre triage all’ingresso: “sin da subito si è reso necessario comprendere chi fosse potenzialmente positivo e chi no e separarli negli ambienti del Pronto Soccorso: per tale motivo ogni paziente viene accolto da un operatore che gli prova la temperatura e lo sottopone a una piccola intervista per capire se presenta una sintomatologia riconducibile a quella del coronavirus o se è entrato in contatto diretto con persone malate. I casi sospetti vengono immediatamente isolati, poi visitati e sottoposti a tampone e alle indagini necessarie. Solo dopo aver concluso tale iter i pazienti venivano – e vengono tuttora – dimessi o, se da ricoverare, indirizzati ai vari reparti, compresa la Medicina d’Urgenza”, trasformata in una sub-intensiva composta di 26 letti di cui 8 con monitoraggio multiparametrico. Ad oggi (28 maggio) vi sono solo 2 pazienti Covid positivi ricoverati in un’area dedicata della Medicina d’Urgenza, gli unici in tutto l’ospedale, essendo finalmente puliti i reparti precedentemente Covid, ma sono numerosi i pazienti che tutti i giorni attendono in Medicina d’urgenza l’esito del tampone di screening necessario prima di essere ricoverati definitivamente nei reparti ospedalieri, sia medici che chirurgici.

“Ci sono stati dei momenti duri perché i pazienti da ricoverare continuavano a crescere e i quadri con polmonite interstiziale da Covid19 con necessità di ventilazione non invasiva erano numerosi. I pazienti ventilati col casco Cpap necessitano di un’assistenza sanitaria impegnativa: il casco fa rumore, è scomodo, limita i loro movimenti, spesso provoca crisi claustrofobiche, impedisce gesti banali come grattarsi il naso o bere e, alla difficoltà nel rimanere molte ore con la testa infilata nel casco, si aggiunge la difficoltà di assumere anche la posizione prona, consigliata in questi casi. Come se tutto ciò non bastasse i nostri pazienti erano in isolamento, spesso in una stanza da soli, senza l’appoggio e la vicinanza dei propri cari che non potevano venire in ospedale; non avevano che il contatto con noi operatori sanitari, che vedevano sempre completamente bardati dai dispositivi individuali di sicurezza, riconoscibili unicamente dagli occhi e dal nome disegnato sui camici protettivi. Ho visto spesso gli occhi lucidi di infermieri e OSS mentre assistevano alle videochiamate tra alcuni nonni degenti e i loro nipoti. E’ stato difficile, circa un terzo dei nostri pazienti sono stati a un passo dall’essere intubati, molti di loro sono stati ventilati in modalità non invasiva per 20, 25, persino 30 giorni. La squadra professionale del Pronto Soccorso e della Medicina d’Urgenza ha reagito in modo incredibile in questa situazione, ha dato il massimo, ha dimostrato non solo qualità professionali ma anche umane non comuni. Allo stesso modo è stato determinante l’aiuto e la collaborazione dei colleghi delle altre unità operative, dai medici dell’ORL che sono stati con noi a visitare pazienti e a eseguire tamponi,  agli urologi e ai chirurghi che hanno preso in carico direttamente i pazienti no covid con sintomi addominali visitandoli e trattandoli nei loro ambulatori per non farli sostare in un luogo a rischio come era il Pronto Soccorso in quei giorni, ai colleghi dei reparti internistici Covid e della Rianimazione, ai colleghi della Radiologia, agli specialisti ambulatoriali, alle USCA, al personale della direzione sanitaria e di distretto, a quello dei poliambulatori, alle squadre di pulizia e di sanificazione ambientale presenti 24 ore al giorno. Una collaborazione trasversale che ha fatto sì che il sistema sanitario reggesse all’urto”.

Un legame, quello stretto con alcuni pazienti, che è proseguito anche dopo le dimissioni: “dopo che trascorri insieme tanti giorni si crea un forte legame di vicinanza, si arriva a conoscere molte cose personali dei pazienti, a volte ci si dà del tu, si parla tutti i giorni al telefono con i loro familiari, anche di particolari non strettamente sanitari. Molti pazienti li abbiamo seguiti anche all’Hotel Concordia dove hanno trascorso la loro convalescenza in attesa di negativizzarsi. Lì tra una ecografia polmonare e il controllo dei parametri, ci hanno raccontato, molto più sereni, cosa avevano provato durante il ricovero e le sensazioni sperimentate una volta usciti dal reparto. Come si erano sentiti, le paure, la gioia per essere fuori pericolo, l’attesa di riabbracciare i propri cari… l’aspetto emotivo è stato tutt’altro che trascurabile ed è ciò che adesso ricordo più volentieri”, prosegue Pesci.

Per mesi le persone non si sono avvicinate al Pronto Soccorso per paura di contrarre il virus ma, ammette la dottoressa Chiara Pesci, ora gli accessi sono nuovamente aumentati, “siamo già a circa 100 al giorno, come se tutto fosse finito”.

Ora, per il Ps, così come per l’intera struttura ospedaliera, è iniziata una fase per certi versi ancor più delicata, quella della convivenza col virus, una coesistenza che implica prudenza e protocolli rigidi al fine di evitare contaminazioni e preservare la salute di tutti.

“Dobbiamo convivere con questo pericolo – ribadisce più volte la dottoressa Pesci – e dunque è fondamentale non abbassare la guardia. Il Pronto Soccorso è la prima porta d’accesso all’assistenza, da qui passano tutti i pazienti da ricoverare in urgenza e dunque per noi nulla è cambiato. I pazienti in ingresso vengono sottoposti a pre triage, se presentano sintomi sospetti vengono isolati e tamponati così come tutti coloro che necessitano di un ricovero, prima di accedere ai reparti ospedalieri, oggi puliti, devono aver ricevuto l’esito negativo del tampone. E’ la prassi e credo resterà tale ancora a lungo”.

Ma il peggio è passato? “Se guardiamo ai numeri – spiega la dottoressa – certamente sì. Il peggio, e cioè quando siamo stati letteralmente travolti dagli accessi Covid, ce lo siamo lasciati alle spalle. E’ stato come ricevere due schiaffi in pieno volto di notte, senza capire chi fosse il nostro assalitore. Adesso però non abbassiamo la guardia e se i numeri, con l’arrivo del freddo e delle patologie di stagione, il prossimo autunno risaliranno, saremo pronti. Non solo come struttura ospedaliera ma anche psicologicamente: sapremo a cosa andremo incontro e adotteremo le soluzioni che abbiamo visto funzionare meglio”.

La parola d’ordine che deve guidare i comportamenti di ciascuno resta però cautela: “non sappiamo per quanto tempo questo virus continuerà a circolare e quindi invito tutte le persone a seguire le regole che abbiamo da tempo imparato e a recarsi in Pronto Soccorso solo se strettamente necessario. Chi soffre di patologie croniche o di altre problematiche non urgenti deve imparare a rivolgersi ai canali giusti, a partire dal proprio medico di famiglia, cardine dell’assistenza sanitaria dei cittadini”.

Invito che valeva ben prima che il Covid irrompesse nelle nostre vite ma che ora è più stringente che mai.

Jessica Bianchi

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