“Dietro alle tute e alle maschere ti danno tutto il coraggio che serve per non arrenderti”

Sta meglio Claudio. Finalmente è tornato a casa, tra i suoi affetti, ma l’esperienza che ha vissuto resterà indelebile dentro di lui. Claudio Bellesia, 61 anni, è uno dei carpigiani che, purtroppo, ha dovuto fare i conti con le complicazioni del covid-19.

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Claudio Bellesia in una foto di repertorio

Sta meglio Claudio. Finalmente è tornato a casa, tra i suoi affetti, ma l’esperienza che ha vissuto resterà indelebile dentro di lui. Claudio Bellesia, 61 anni, è uno dei carpigiani che, purtroppo, ha dovuto fare i conti con le complicazioni del covid-19. “Ho cominciato a non sentirmi bene intorno all’8 marzo, con febbre e tosse secca. In Pronto Soccorso mi hanno fatto il tampone per poi rimandarmi a casa ma facevo sempre più fatica a respirare e quando è arrivato l’esito e la conseguente positività, dopo una visita domiciliare, mi hanno subito ricoverato all’Ospedale Ramazzini, nel Reparto di Medicina 2”.

Difficile sapere come sia avvenuto il contagio soprattutto “perché – prosegue Claudio – intorno a noi ci sono sicuramente degli asintomatici ma io avevo incontrato un parente poi ammalatosi a sua volta…”.

L’ospedale è una discesa all’inferno. Perchè questa patologia, oltre a essere estremamente severa in certi casi, toglie ai malati la possibilità di avere accanto i propri cari. Nessuna carezza. Nessun abbraccio. Un dramma vissuto in solitudine, coi propri compagni di stanza. “Non è facile descrivere quel che passa per la testa quando, completamente inerme, senti l’ultimo feroce respiro abbandonare il tuo compagno di stanza. Una situazione ripetuta che, purtroppo, corrode la speranza. Quella stessa speranza – aggiunge Claudio – che ti dà la forza per resistere e andare avanti, per rivedere tutte le persone che ami. Fortunatamente non ho mai smesso di sentire i miei cari per telefono e questo rinsaldato in me la forza necessaria”.

Preziosi anche gli amici, “quelli veri che non ti lasciano dietro in una salita, ma tornano indietro per accompagnarti, che se fori fanno a gara per aiutarti a riparare la ruota insomma tipo i miei cari Saltafossi”.

Sull’Ospedale Claudio non fa sconti ma è a chi vi opera, tutti giorni, in prima linea, che rivolge il ringraziamento più grande: “nella fatiscenza della struttura e delle attrezzature, quel che mi è arrivato dritto al cuore è l’operato di tutti gli angeli che vi lavorano. Medici, infermieri, Oss, inservienti… persone che dietro quelle tute e quelle maschere di sudore, pur non riuscendo a nascondere la paura, riescono, con determinazione e spirito di sacrificio, a darti tutto il coraggio che serve per reagire e non arrendersi alla malattia. Non ho parole sufficienti per esprimere tutta la mia ammirazione per questi angeli che io ringrazio con tutto il mio cuore. Mi auguro che le istituzioni tutte sappiano ricompensare e agevolare in ogni modo il loro difficile lavoro”.

Il 30 marzo Claudio è finalmente tornato a casa ed è stato come “passare dall’inferno al paradiso” anche se, ammette, “i miei pensieri sono ancora per i pazienti, gli infermieri e i dottori che ho lasciato”.

Claudio è uno sportivo, da sempre ama immergersi nella natura in sella alla sua mountain bike, eppure la malattia è stata particolarmente dura con lui, ennesima dimostrazione di come il coronavirus non sia pericoloso soltanto per gli anziani con patologie pregresse. “A mio avviso un giovane più facilmente può essere asintomatico e proprio per questo più facile veicolo di trasmissione della malattia. Una ragione in più per adottare tutte le precauzioni necessarie, a partire dall’uso della mascherina. E’ dura contenere l’esuberanza giovanile ma quando si ama chi ci sta accanto occorre collaborare. Sempre”. In bocca al lupo Claudio e che la tua convalescenza possa finire al più presto.

Jessica Bianchi