“Mi fa proprio imbestialire chi getta discredito sulla sanità, soprattutto quando non è mai entrato in ospedale e, per fortuna sua, non ha mai varcato la soglia del Reparto di Oncologia. Quando ho letto su Facebook il post, mi sono chiesto come potevo rispondere ed eccomi qui per raccontare ciò che ho visto e vissuto in questi mesi”.
Paolo ha 57 anni e abita a Fossoli, ha scoperto di essere malato nella scorsa primavera. “A marzo avevo percorso in bicicletta sessanta chilometri insieme a mia moglie lungo la Mantova – Peschiera del Garda. E’ stato per un mal di schiena persistente che mi sono rivolto al medico di base per una risonanza, si pensava a un’ernia e invece era un tumore a una vertebra, associato a un altro al polmone e uno al fegato”. Tumori asintomatici che non si erano sino ad allora manifestati a Paolo ma che sconvolgono la sua esistenza. “Ho iniziato a frequentare il Reparto di Oncologia per sottopormi alla terapia a bersaglio, scatoline di pillole colorate che vanno a cercare la proteina da aggredire, normalmente efficace e con minori effetti collaterali ma non nel mio caso. Con la chemioterapia, dal mese di luglio, è andata meglio per il mio fisico”.
Ed è durante le ore, almeno cinque per ogni seduta di chemioterapia, trascorse sulla poltrona con le cuffiette nelle orecchie che Paolo ha avuto modo di osservare, in silenzio, l’operosità del personale dell’oncologia.
“Nel corridoio c’è appesa una vecchia indagine giornalistica che parla di 800 malati in cura presso il Day Hospital di Carpi ma oggi il numero è aumentato al punto che non c’è mai una postazione libera, i tre turni registrano sempre il tutto esaurito e, purtroppo, l’età media si abbassa sempre di più. Quello del Day Hospital è un contesto in cui le relazioni diventano particolarmente significative e chi vi lavora ha una disponibilità particolare all’ascolto e alla condivisione: l’infermiera che mi chiede ogni volta ‘come stai?’ è preoccupata per le condizioni di sua figlia coinvolta in un incidente stradale, mentre la dottoressa che segue la mia terapia vive il momento della gravidanza e ne condivide gioie e dolori.
Quello che voglio dire è che il motivo per cui entro nel Day Hospital Oncologico non mi rende certo entusiasta ma preso atto che devo fare i conti con la malattia, quello che osservo in reparto mi sembra il modo migliore per affrontarla. Chi ci lavora è capace di rendere l’ambiente sereno e anche molto vero. Al di là di tutti i problemi organizzativi che ci possono essere all’interno di un qualsiasi ospedale, posso affermare che l’obiettivo di quella realtà medico sanitaria, di cui io ho fatto esperienza, resta quello di guarire le persone. E questo chiude tutte le polemiche, soprattutto quelle su Facebook”.
Altro aspetto a cui i medici sono particolarmente attenti è quello della comunicazione che è calibrata in modo da permettere al paziente di reagire perché “il modo in cui affronti la malattia è fondamentale e se anche io ho espresso più volte il desiderio di sapere tutto, non tutto mi è stato detto proprio per permettermi di avere un certo atteggiamento durante la terapia”. Infine, la recente introduzione della nutrizionista è un’ulteriore scelta che rivela la volontà di supportare il paziente in un momento particolarmente delicato.
Chi getta discredito sulla sanità pubblica “non si rende nemmeno conto di quanto possono arrivare a costare i farmaci utilizzati nelle terapie. Non credo che me le potrei permettere se non mi fossero garantite dal Sistema Sanitario Nazionale” conclude Paolo che con questa pubblicazione intende rendere merito alla sanità pubblica, quella che funziona, grazie soprattutto al personale che ci lavora. Lui avrà modo di ringraziare personalmente medici e infermieri perché purtroppo la sua battaglia non è ancora finita.
Sara Gelli