Una speranza per i malati di Sla

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Un nuovo tassello è stato aggiunto alla lotta contro la Sla, “gravissima malattia neurodegenerativa che porta alla morte dei neuroni motori e che nel nostro Paese colpisce circa 6mila persone”, spiega la professoressa di Biologia molecolare a Unimore, Serena Carra, 45enne carpigiana.

Vera e propria condanna a morte, la Sclerosi Laterale Amiotrofica è “a tutt’oggi priva di una cura efficace” ma, grazie al progetto di ricerca targato Unimore e coordinato dalla Carra del Dipartimento di eccellenza di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, MLOpathy, la speranza si riaccende. Il progetto riguarda lo studio dei meccanismi implicati nel ripristino della funzionalità dei processi di risposta allo stress e nell’aggregazione di organelli cellulari nella SLA e, spiega la professoressa Carra “ha l’obiettivo di verificare se una combinazione di farmaci che agiscono sul sistema di controllo di qualità proteico sia in grado di proteggere la cellula dalla tossicità legata all’aggregazione di organelli nucleari senza membrana (MLO). Le cellule umane contengono numerosi organelli senza membrana, ovvero compartimenti intracellulari che hanno una composizione e svolgono funzioni specifiche e sono caratterizzati da proprietà altamente dinamiche. La perdita di tali proprietà in alcuni organelli senza membrana sarebbe alla base dello sviluppo e della progressione della Sclerosi Laterale Amiotrofica”.

MLOpathy è tra i vincitori della Call for Project 2018 promossa da AriSLA, la fondazione Italiana di ricerca per la SLA e riceverà un contributo di 240mila euro, grazie ai quali, prosegue Carra, “verrà finanziato lo stipendio di giovani ricercatori che lavoreranno al progetto e copriremo le spese di reagenti e consumabili necessari all’espletamento del progetto”.

L’innovativo studio potrebbe poi aprire nuovi scenari dal punto di vista terapeutico: “utilizzando cellule umane come modello sperimentale, MLOpathy farà luce sui meccanismi patogenetici alla base dello sviluppo della Sclerosi Laterale Amiotrofica e dimostrerà se la combinazione di specifici farmaci già in commercio combatte la progressione della patologia”, prosegue la professoressa Carra.

Con alle spalle oltre dieci anni di attività di ricerca in Canada e Olanda, grazie al Programma Giovani Ricercatori Rita Levi Montalcini, Serena Carra, che ha fatto ritorno proprio nell’Ateneo dove si è formata, non risparmia critiche circa lo stato in cui versa la ricerca nel nostro Paese. “E’ fondamentale – spiega – che il Governo attui programmi di finanziamento concreti e basati su principi di meritocrazia, trasparenza ed eccellenza. Questi programmi di finanziamento dovrebbero essere assegnati a un’agenzia imparziale che abbia come scopo la distribuzione dei fondi alla ricerca sulla base della qualità dei progetti e, soprattutto, dovrebbero susseguirsi con continuità e modalità conosciute, come ad esempio accade in Germania o negli USA.  Purtroppo non esistono programmi che diano l’opportunità a ricercatori rientrati in Italia da pochi anni e che hanno dimostrato mediante pubblicazioni su riviste di prestigio di aver ottenuto risultati importanti, di consolidare le proprie ricerche, allo scopo di contribuire all’avanzamento delle conoscenze scientifiche, nella fattispecie biomediche e alla formazione di personale altamente qualificato. E altresì fondamentale offrire opportunità ai giovani ricercatori, al fine di creare laboratori di ricerca funzionali, dove principal investigator, giovani ricercatori, tecnici specializzati e lab managers cooperino e costituiscano un team operativo ed efficiente. A oggi mancano nell’ambito universitario o sono estremamente carenti queste figure fondamentali poichè le tipologie contrattuali sono limitate o richiedono finanziamenti elevati che purtroppo sono estremamente esigui nel panorama della ricerca italiana. Rischiano di perdersi come una goccia nel mare gli sforzi e gli investimenti per il reclutamento di giovani ricercatori dall’estero: una volta rientrati si trovano a lavorare in un panorama sofferente e così, assegnisti di ricerca o post-doc o abbandonano la ricerca o vanno all’estero, dove hanno accesso a programmi di finanziamento competitivi e continuativi”.

Jessica Bianchi

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