Ogni chicco sussurra una storia. Canzoni di monda. Di partenze e addii. Una lingua millenaria, quella parlata dal riso, che racconta tradizioni antiche e ci rimanda immagini di un passato ormai sfocato: le schiene curve delle mondariso sull’acqua, le loro mani sporche di fango, il sudore, la fatica… In risaia, laddove terra e cielo si incontrano, il passato si ripresenta, giorno dopo giorno. A intrecciare la propria storia a quella del riso, da ben tre generazioni, vi sono Franco Dalle Ave e la moglie Cinzia Pavan. Insieme, la coppia ha dato vita a un’azienda agricola innovativa e carica di suggestioni. Uniti da oltre vent’anni, Franco e Cinzia hanno deciso di intraprendere una nuova avventura, fatta di terra e acqua: “la coltivazione del riso fa parte del dna della mia famiglia sin dagli Anni Trenta, dapprima con mio nonno Angelo e poi con mio padre Luigi. Dagli Anni Novanta ho raccolto la loro preziosa eredità: la tradizione del riso continua così a vivere con la terza generazione”, sorride Franco.
Presidio di Campagna Amica, sotto l’egida di Coldiretti, il Fondo Dalle Ave di Budrione (via dei Morti, 9) segue, con passione, tutti i passi del riso, “dall’inizio alla fine della filiera”, prosegue Franco. Un percorso che inizia ogni anno a maggio con la semina e si conclude tra settembre e ottobre con la trebbiatura.
Diciannove ettari, quelli della famiglia Dalle Ave, coltivati ad Arborio e Carnaroli: “il primo più ricco di amido – spiega la coppia – consente di creare risotti all’onda, morbidi e cremosi, mentre il secondo, considerato il re dei risotti, compatto e sempre al dente, garantisce risultati perfetti anche agli chef più distratti”. Con una produzione di circa mille quintali di risone, per la coppia la qualità è un imperativo ma ora il via libera dell’Unione Europa all’importazione di riso priva di dazi doganali e senza limiti di tonnellaggio dal Vietnam costituisce un grave problema. “Paesi come Vietnam, Cambogia e Birmania – spiega Franco – producono risi adatti a una cucina orientale, varietà da tempo molto apprezzate anche nel nostro territorio. Pur non essendo tipologie da noi coltivate, le importazioni massicce si ripercuotono fortemente su di noi, poiché creano dei preoccupanti squilibri di mercato. Chi coltivava risi per la cucina orientale, infatti, si è ritrovato a dover concorrere con prezzi stracciati ed è stato quindi costretto a cambiare la propria produzione, optando per varietà maggiormente remunerative come Arborio e Carnaroli. Risi che storicamente popolano le nostre tavole poiché adatti a realizzare risotti. Ciò ha comportato uno squilibrio insostenibile: pensa che quest’anno abbiamo venduto il risone alla metà dei costi di produzione. Non è l’importazione diretta a creare dissensi e malumori, bensì il danno inflitto alle coltivazioni italiane: quando non copri più le spese cerchi altre strade, compromettendo così il lavoro di chi, quelle varietà, le coltiva da tempo”.
Jessica Bianchi