Gli Incazz: storia di un’istituzione carpigiana

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Vere e proprie perle d’autore quelle scovate dal carpigiano Mauro “Dorry” D’Orazi e messe on line sulla sua pagina Facebook. Nel suo profilo social, infatti, Dorry ha pubblicato le rare immagini (gentilmente concesse da Meris Corni) di una istituzione della Carpi di appena ieri: la pizzeria La Tavernetta. O, per meglio dire, dei ribattezzati Incazz. La celeberrima pizzeria che, inutile sottolinearlo, occupa un pezzo di cuore di numerosi carpigiani, prese le mosse nel 1971 dapprima in via Galvani per poi trasferirsi, nel 1980, nei locali di via Don Davide Albertario, dove rimase sino alla chiusura avvenuta il 31 dicembre del 2000. A gestire l’attività era la famiglia Corni: un folcloristico concentrato di “dolcezza”. Un approccio col pubblico, quello della mitica signora Mafalda e del marito Dante Corni, che fece conquistare loro il nomignolo, decisamente evocativo, di Incazz. “Il soprannome – spiega D’Orazi – derivava dal fatto che usavano modi molto bruschi nel servire e rispondevano a grugniti”. Ma chi ha inventato il famoso soprannome? “Un’indagine accurata – sorride Dorry – mi ha consentito di arrivare al colpevole. Guido Barbieri ha infatti rilasciato questa spontanea confessione: Il famoso nomignolo ha un inventore… e quello sono io. Da ragazzo abitavo proprio di fronte alla loro prima pizzeria, in via Galvani. L’appellativo nacque in risposta agli sguardi torvi che i gestori lanciavano a me e ai miei amici, quando giocavamo a calcio in strada. Il pallone finiva spesso in mezzo ai loro tavolini all’aperto, provocando reazioni accigliate e immediate”. E, per la cronaca, quei palloni venivano puntualmente sequestrati dalla signora Mafalda senza alcuna eccezione! Impossibile dimenticare la smorfia torva con la quale la signora Mafalda ti osservava mentre varcavi la soglia. E, ancora, le tovagliette di plastica su cui immancabilmente si incollavano le braccia, la semplicità del locale e le lunghe file di gente in attesa il sabato sera per portarsi a casa una pizza fumante con due lire, rigorosamente chiusa tra un foglio di carta agganciato sopra con le graffette! Gli aneddoti sui coniugi Corni si sprecano. Proverbiali l’economicità dei loro prodotti (due persone spendevano appena 10.000 lire) e la velocità del servizio. “Nonostante i brontolii e le male maniere, il locale era sempre molto frequentato e, anzi, la gente si divertiva di fronte a quei modi rozzi e sgarbati, tanto che le scontate reazioni, non di rado, venivano provocate ad arte dai clienti più smaliziati e burloni”. A entrare nella leggenda, moderno Pico della Mirandola, anche il figlio della coppia, Daniele, rinominato Memory, per la sua eccezionale memoria: “si narra infatti che riuscisse a prendere venti ordinazioni alla volta senza annotare nulla e senza sbagliare mai”, ricorda D’Orazi. “Sarò andato mille volte dagli Incazz – ricorda il carpigiano Lorenzo Boni – addirittura una volta ci portammo anche le fidanzate per San Valentino. Degni di nota erano le tipologie delle pizze scritte con le lettere trasferibili nell’apposita lavagnetta sul vetro del banco pizzeria. Io prendevo sempre la Speciale, in sostanza una quattro stagioni. L’unica birra disponibile era la Heineken da 66 cc in bottiglia: “Csa vlii v da bèvver?” “Una Ceres grazie” “’Sa gh è? Pòochi ciavèedì! S a sii v dvintèe? Di sgnóor? Heineken, Coca o Fanta familiari… Cedrata Tassoni”. Impossibile non ricordare la Tavernetta con le sue tovaglie di plastica a quadri e i piatti con i fiorellini. Arrivavano, pulivano con una spugnetta e poi col buràas (canovaccio) asciugavano alla svelta la tela cerata a quadri rossi e bianchi, appena usata dagli avventori precedenti, sistemavano tre, quattro tavoli alla volta. Mentre erano ancora chini sul tavolo, già chiedevano ai nuovi clienti che premevano per sedersi: – Alóora… S a v daagh ia? – Oppure: – Csa vlii v?  La Mafalda diventava nervosissima quando ad aspettare c’era troppa gente ma, a dire il vero – rivela Lorenzo Boni – al di fuori della pizzeria era una persona gentilissima, evidentemente dietro al bancone lei e la sua famiglia si divertivano a recitare una parte”. “Mi ricordo – commenta il sindaco Alberto Bellelli – che tutte le domeniche pomeriggio andavamo a ballare al Picchio in via Pezzana poi, quando il locale chiudeva, facevamo tappa dagli Incazz. Il servizio e la varietà del menù erano semplificati al massimo, ma stavamo benissimo e ci divertivamo da matti per lo stile dimònndi tirèe vìa dei gestori”.

“Era l’unica pizzeria in città – prosegue Claudio Cortesi – dove sul menù a muro si leggeva: Pizza con salCiccia. E, ancora, nella prima sede in via Galvani sulla porta del bagno la scritta era inequivocabile: Thualette”. Entrate nella leggenda anche alcune risposte epiche della signora Mafalda: “Mafalda, c’è molto da aspettare?” “Va a ca tùa a magnèer duu spaghètt”. O, ancora, “Avete dei dolci?” “Cafè!”. “Mi può portare un digestivo?” “A t al daagh mè al digestìiv”. Il giorno della chiusura finì un capitolo di storia locale: “quelli – racconta Silvia Gualdi – furono i migliori anni della mia vita. Lì si stava benissimo; con gli amici ci siamo fatti delle risate da mal di pancia, abbiamo fraternizzato, scherzato, vissuta la nostra età più bella. Quando ho saputo che avrebbero chiuso ho pensato che fosse finita un’epoca. E infatti è stato così! Meravigliosi Incazz, meravigliosi noi”. “Il giorno di chiusura siamo andati due volte a mangiare alla Tavernetta e abbiamo portato una torta gelato con scritto Incazz e la Mafalda ha riso”, un evento a dir poco eccezionale! Che recitassero o meno una parte, una cosa è certa: gli Incazz resteranno nel nostro cuore. 

Jessica Bianchi

 

 

 

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