La carezza del Nazareno

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Immaginate un luogo dove non esistono stigma né separazione. Una città nella quale la solidarietà è una pratica comune. Gratuita. Un’utopia? Forse, ma anche a Carpi stanno fiorendo iniziative tese favorire la nascita di un welfare dal basso, affinché la parola comunità ricominci ad avere un senso.  La Cooperativa Nazareno ha ideato, in collaborazione con i Servizi Sociali dell’Unione delle Terre d’Argine, il progetto La carezza del Nazareno grazie al quale le persone con disabilità psicofisica possono diventare una preziosa risorsa per il prossimo. “Il progetto di volontariato si rivolge ad anziani che non sono in carico ai servizi ma che si trovano in una condizione di fragilità. L’idea è quella di proporre una forma di Welfare in grado di risvegliare la coscienza dei cittadini”, sottolinea Sergio Zini, presidente della cooperativa. Inizialmente, una decina circa di ragazzi dell’Atelier Manolibera, suddivisi in piccoli gruppi e accompagnati dai due educatori Alessandra Pelliciari e Luiz Calzolari, andranno a far compagnia ad alcuni anziani soli segnalati dai Servizi Sociali. A credere – e a investire –  fortemente in questo progetto anche Adriano Tomba della Fondazione Cattolica di Verona, “poiché tutte le persone coinvolte, malgrado le loro fragilità, vengono concepite come una risorsa, indistintamente. Crediamo che questo modello di welfare partecipativo, nel quale ciascuno si assume la responsabilità di intervenire, debba essere sostenuto: la solidarietà non matura nei convegni, bensì sul campo. La Cooperativa Nazareno offre la possibilità ad alcuni dei suoi ragazzi di diventare una fonte di aiuto e vicinanza. Questo progetto valorizza il concetto di gratuità, nella speranza che possa poi diventare una vocazione. Senza gratuità non si può fare economia”.
Emozionati ma desiderosi di fare del proprio meglio sono poi i protagonisti, ovvero i ragazzi dell’atelier Manolibera, ai quali non manca certo l’ironia… “Sono emozionato, ansioso e curioso. Spero di fare tante cose belle”, ha commentato Giorgio. “Vorrei fare il barista, ma va bene anche aiutare i vecchi”, ammette accondiscendente Lorenzo, a cui fanno eco le parole di un ironico Luca: “Spero che il presidente paghi bene”… A ribadire come un’esperienza di questo tipo, assolutamente originale nel nostro territorio, possa contribuire ad accrescere un senso di comunità sempre più logoro e dar vita a una contagiosa catena di solidarietà, è il presidente Zini: “è solo in solitudine che si fanno le stupidaggini… ecco perché vorremmo creare un’inversione di tendenza. Non basta ripetere l’importanza di investire sulle relazioni. Alle parole devono seguire i fatti. Quelli veri.  All’interno di una comunità, e noi questo lo tocchiamo con mano ogni giorno,  i disagi si stemperano”. Un progetto convincente, capace di fungere da stimolo terapeutico e riabilitativo per i disabili da un lato e di contribuire a vincere, seppure solo in parte, al senso di solitudine e dolore che affligge tanti anziani soli e malati dall’altro. Tutti possono fare qualcosa per rendere la nostra città un luogo migliore nel quale vivere: una città inclusiva e solidale dove ciascuno si spende per il bene altrui.
Jessica Bianchi

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