“Le malattie correlate all’invecchiamento rappresentano già un problema”

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Frustrazione, logorio, senso di abbandono, solitudine, impotenza… sono numerosi i sentimenti che si provano, convivendo con una persona affetta da una forma di demenza, prendendosene cura. Quello del caregiver è un ruolo complesso, faticoso, che richiede grande forza d’animo. Per non farsi schiacciare dagli oneri quotidiani compromettendo la propria salute e il proprio equilibrio mentale è necessario avvalersi di una rete di aiuto. Per non cedere al buio della malattia infatti, i familiari necessitano di un sostegno reale, concreto.
Le demenze in Italia colpiscono circa il  il 5% delle persone con più di 65 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. Tra le demenze la  forma più comune è il morbo di Alzheimer che ne rappresenta circa il 60%; colpisce la memoria e altre funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui disorientamento temporospaziale,  stati di confusione, cambiamenti repentini di umore e personalità. Nel 2015 a Carpi risultavano residenti 16.141 Over 65 (nel 1975 erano 6.881), ciò significa che, potenzialmente, il 5% di loro, ovvero 807 persone, potrebbero essere affette da qualche forma di demenza.
E considerato il tasso repentino col quale il nostro Paese invecchia, tale piaga è destinata a diventare drammaticamente emergenziale. Sapremo farcene carico? A rispondere è la dottoressa Annalena Ragazzoni, specializzata in geriatria, nonché presidente di Gafa – Gruppo Assistenza Famigliari Alzheimer.
Quali sono i rischi maggiori che corre il caregiver che si fa carico di un malato di Alzheimer?
“Negli stadi iniziali il problema maggiore è l’accettazione della diagnosi, poiché i famigliari devono comprendere esattamente cosa questa comporti. Poi, col progredire della patologia, subentra la difficoltà a interpretare i comportamenti del malato alla luce della malattia stessa. Col tempo, infatti, si assiste a una perdita dell’identità e delle caratteristiche psicologiche della persona amata: il caregiver vive quindi la terribile sofferenza di vedere il proprio coniuge o genitore mutare personalità. Vi è una difficoltà oggettiva nel riconoscere la persona che era prima e questa, forse, è la sofferenza maggiore di chi convive con una persona affetta da Alzheimer.  Il malato smarrisce progressivamente i propri ricordi personali, quindi la sua biografia… ciò porta il caregiver a vivere una sorta di lutto anticipatorio: l’identità del proprio caro è come se si spegnesse prima di morire. Il caregiver deve poi farsi carico del malato e sopperire a tutti i suoi deficit funzionali, accudendolo nella somministrazione del cibo, dei farmaci e nell’igiene personale… questo, spesso, comporta anche un’inversione dei ruoli, con figli che si prendono cura della propria madre e del proprio padre e genitori che, di fatto, si trasformano nei figli dei propri figli. Il rischio maggiore nel quale possono incorrere i caregiver è quello di vivere queste complesse situazioni in isolamento, senza confrontarsi con qualcuno che li possa informare e aiutare. Chi subisce tutto questo in solitudine rischia di essere schiacciato da un problema più grande di lui. Vi è poi un altro fattore da non trascurare legato agli aspetti demografici e all’invecchiamento della popolazione: vi sono coppie molto anziane e, di conseguenza, il caregiver stesso, moglie o marito che sia,  è gravato a sua volta da deficit sensoriali, problemi  fisici o depressione. Chiediamo quindi a persone già fragili di farsi carico di un problema grande come la demenza”.
Il senso di solitudine, la frustrazione e l’angoscia derivanti da un’assistenza serrata a una persona cara malata di demenza possono condurre ad atti estremi, la cronaca ce lo ha purtroppo mostrato. Cosa fanno le istituzioni per tutelare i cargiver nel nostro territorio?
“Se inquadriamo la situazione locale rispetto al contesto regionale o nazionale possiamo affermare che la nostra è una delle aree dove esistono più servizi legati alla cura e all’assistenza.  Nella nostra Regione, dal Duemila, esiste un Progetto demenze, vi è poi sul territorio una rete di consultori dedicati ai Disturbi cognitivi e alle demenze: solo nell’Ausl di Modena si contano dieci centri. Si sta compiendo uno sforzo, dal punto di vista sanitario, per diffondere una cultura e una conoscenza della malattia. Purtroppo è difficile arrivare a tutti e a questo si aggiunge la reticenza di certe famiglie ad affidarsi a un soggetto esterno. Come Gafa il nostro invito è quello di stimolare i familiari a chiedere aiuto presto, prima di sentirsi schiacciati o disperati.  Naturalmente si può fare sempre di più. Un fatto grave come quello accaduto questa estate in città costituisce una sconfitta per tutti. Ciascuno di noi dovrebbe interrogarsi, chiedendosi cosa possa fare per cercare di stare vicino a chi soffre”.
Ad oggi quanti sono i malati di Alzheimer a Carpi?
“Difficile dirlo con esattezza. Sappiamo che il Centro dedicato ai Disturbi cognitivi e demenze di Carpi segue circa 500 persone Over 65 a livello distrettuale (Carpi, Novi, Soliera e Campogalliano). A questi si aggiungono i pazienti più giovani che afferiscono all’Ambulatorio Neurologici: persone che soffrono di demenza in generale legata a cause tossiche (abuso di alcol e droghe), virali (come ad esempio l’Hiv) e post traumatiche. Cause sulle quali si può intervenire, adottando corretti stili di vita”.
La popolazione carpigiana continua a invecchiare, questo significa che nel prossimo futuro non possono che aumentare i malati.  Di fronte ai costanti tagli alla sanità, ciò rischia di far collassare la filiera dell’assistenza? Come si può correre ai ripari?
“Le malattie età correlate rappresentano già un problema e tra queste le demenze costituiscono un capitolo pesante. Di certo creare un’integrazione sempre più stretta tra i servizi significa dare una risposta ancor più attenta a malati e familiari. L’Alzheimer è una problematica complessa e in quanto tale esige risposte articolate dal punto di vista sanitario, psicologico, assistenziale, legale, economico… Numerose le figure che devono interagire nella gestione del malato: pertanto sono auspicabili un dialogo, uno scambio e un’interazione crescenti e costanti tra i vari soggetti, affinché si crei una concreta rete di supporto in grado di rispondere a ogni tipologia di richiesta.  Occorre acquisire un lessico diverso, imparare a fare un lavoro multidisciplinare, di equipe. Ciò esige prima di tutto uno sforzo culturale, si deve imparare una lingua comune… nessuno specialista ha risposte univoche, di fronte a una malattia complessa devono essere messe in campo risposte complesse. Malgrado gli sforzi però, qualcuno sfugge sempre, ecco perché è necessario promuovere una sensibilità diffusa tra la popolazione. Anche il vicino di casa ha un ruolo importante e può dare un contributo rispetto al dramma che si sta vivendo una porta più in là, dando informazioni, stringendo relazioni affinché le famiglie possano essere aiutate a superare la vergogna e lo stigma della malattia. Vincere il tabù è il primo passo per uscire dall’isolamento. E’ una sfida ma, negli anni, grazie a Gafa, abbiamo visto come, dentro ai gruppi di mutuo aiuto (fatti di famigliari che condividono le loro esperienze, col coordinamento di una psicologa) anche i cargiver – vinte le resistenze iniziali legate alla difficoltà di mettere a nudo emozioni intime e private – possono imparare a dare un senso a ciò che vivono. A non sentirsi schiacciati dalla disperazione. Il caregiver deve avere il coraggio di chiedere aiuto ma, e desidero dirlo con forza, i suoi famigliari non devono abbandonarlo a se stesso, perché la prima rete di sostegno è la famiglia”.
Jessica Bianchi