Si è formalmente costituito a Carpi il Comitato per il No delle Terre d’Argine alla riforma costituzionale del Governo Renzi, presieduto da Viviana Sivori. Pur essendo espressione del Centrodestra locale, il comitato non vuole fregiarsi di “simboli – spiega Giorgio Cavazzoli tra i promotori – al contrario vuole affiancare gli altri sodalizi per il bene del Paese. Il nostro obiettivo è quello di scendere nelle piazze dei quattro comuni delle Terre d’Argine, a partire dal mese di settembre, per parlare con la gente e spiegare con chiarezza le ragioni del no”. Un referendum per il quale, prosegue Cavazzoli, “è indispensabile esprimere il proprio parere recandosi alle urne. Tutti dobbiamo andare a votare, e votare No”. In quanto confermativo, il referendum per essere valido non necessita del raggiungimento del quorum, semplicemente si procede col conteggio dei voti validamente espressi indipendentemente se abbia partecipato o meno alla consultazione il 50 per cento più uno degli aventi diritto come avviene in quello abrogativo. Tra le ragioni del no, la crisi della rappresentatività, il legame tra legge elettorale e riforma costituzionale, gli effetti della loro combinazione, le modifiche al Parlamento e alle leggi e lo stravolgimento delle autonomie locali. “Questa è la riforma di una minoranza che, grazie alla sovra rappresentazione popolare fornita da una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale è diventata maggioranza solo sulla carta. Una simile maggioranza non può spazzare via, con un sol colpo di mano, 75 anni di democrazia. Il papocchio proposto dal duo Renzi – Boschi divide anziché unire, lacera anziché cucire. Questa riforma nasce già fallita poiché dettata da un Parlamento in difetto poiché eletto in modo anticostituzionale”, conclude Giorgio Cavazzoli. Anche l’Italicum proprio non va giù ai promotori del No: “la sommatoria tra riforma costituzionale e riforma elettorale spiana la strada a un mostro giuridico che travolge i principi della Costituzione. L’Italicum infatti giunge all’azzeramento della rappresentatività del Senato e al centralismo che depotenzia il pluralismo istituzionale, l’indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei Deputati. Il premio di maggioranza alla singola lista consegna di fatto la Camera nelle mani del leader del partito vincente (anche con pochi voti) nella competizione elettorale”. A saltare sarebbero così pesi e contrappesi, spiega Roberto Benatti, “è il modello dell’uomo solo al comando. Nascerebbe una sorta di premierato assoluto”. “Non vorremo mica tornare al ventennio fascista?” domanda provocatoriamente Cavazzoli. Ambigue anche le funzioni attribuite al nuovo Senato e confuso il modello elettivo dei senatori, i quali dovranno essere anche espressione degli enti territoriali (ergo regioni e comuni): “come può un sindaco fare bene il proprio lavoro di amministratore sul territorio ed essere al contempo un senatore presente e competente? Non potrà mai funzionare. Eliminare il Senato non è una questione di risparmio economico ma di stabilità di governo. Liberarsi dei mal di pancia di alcuni senatori significherà fiducia stabile e libertà assoluta per il capo del Governo di far passare ogni legge senza alcun ricatto da parte del Parlamento”, continua Benatti. Anche la “rappresentatività delle Regioni diventerebbe tanto nebulosa quanto inesistente. Questa riforma non ha nulla di innovativo, al contrario conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie locali.” aggiunge Andrea Ferrari, vice presidente del Comitato per il No.
Jessica Bianchi