Il coraggio di denunciare

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Nel nostro Paese quasi una donna su tre ha subito una forma di violenza fisica, sessuale o psicologica a partire dai 15 anni d’età. A sconcertare maggiormente però è un altro dato: 8 donne su 10 non denunciano gli abusi subiti alle autorità competenti. Vergogna, imbarazzo, senso di colpa, terrore dell’abbandono, paura di morire … sono numerose le cause che si nascondono dietro a tale reticenza ma le persecuzioni continue possono provocare danni gravissimi. Profondi. Ferite dell’anima da cui è difficile guarire qualora la violenza sia reiterata nel tempo. Ma perché tante donne non denunciano i propri aguzzini? Cosa le spinge a restare accanto ai loro aggressori, intrappolate in rapporti morbosi, violenti e disfunzionali? Quali meccanismi psicologici scattano nelle vittime di violenza? A rispondere a questi interrogativi è il dottor Marco Fregni, psichiatra carpigiano.

Dottore, quali sono le conseguenze psicologiche per una donna maltrattata?

“In genere se gli abusi proseguono per un certo periodo e non sono episodi singoli, si può notare l’insorgere di quadri psicopatologici reattivi legati ad ansia generalizzata, turbe del sonno, depressione e a un’esacerbazione di reazioni psicologiche come diminuzione della soglia di sopportazione, reattività sproporzionata all’evento, aggressività o passività eccessive. Oltre a questo la persona che subisce violenza appare logorata, stanca, infelice, con una diminuzione delle proprie performance e può optare per un ritiro sociale e relazionale”.

Quali sono i segnali di pericolo che una donna dovrebbe saper cogliere nel proprio uomo?

“Sostengo che i segnali vadano colti e, spesso, si notano già all’inizio di una relazione sentimentale. Se la persona che abbiamo di fronte si mostra tendenzialmente aggressiva e manesca, se ha reazioni di rabbia sproporzionate rispetto agli eventi, se è molto e inutilmente gelosa, ipercontrollante, se comincia a dettare regole di comportamento all’interno della coppia cercando di determinare in modo rigido le abitudini e addirittura il modo di pensare del partner, ebbene, occorre porre molta attenzione. Spesso una persona che si rapporta con  noi in questo modo, tende poi a esacerbare questo tipo di modalità sino a cercare d’imporci regole e modi sempre più rigidi e limitanti, dai quali diventerà sempre più difficile allontanarsi, pena, poi, reazioni sempre più rabbiose da parte di chi le impone”.

In cosa consiste la Sindrome della donna maltrattata?

“La Sindrome della Donna Maltrattata cerca di cogliere e raccogliere una serie di sintomi, ma soprattutto di comportamenti che accomunano, spesso, chi è vittima di soprusi e violenze continui. E’, quindi, piuttosto frequente tra le donne sottoposte a maltrattamenti familiari. Viene anche detta Sindrome di Procne, dalla mitologia greca, o di Stoccolma, legandosi a eventi di cronaca molto più recenti. Si compone di una serie di comportamenti che in genere vanno dalla negazione cosciente di quanto si sta subendo a opera del proprio carnefice, (ad esempio la vittima riferisce che le ecchimosi o le fratture riportate sono dovute a cadute e non alle botte subite), sino a una sorta di apatica e solitaria rassegnazione per ciò che subisce.  In molti casi la rassegnazione sfocia in una vera e propria giustificazione, verso se stessa e gli altri, del comportamento del proprio partner violento proprio perché unico  e “sincero” protettore della vittima. In questi casi, che rasentano il plagio, sono ravvisabili gli effetti manipolatori continui che la vittima subisce dal proprio compagno. Non va comunque dimenticato che molte donne hanno difficoltà a denunciare poiché a questi sentimenti, associano sensazioni di forte paura per la propria incolumità o per quella dei figli. Va poi aggiunto che spesso è difficile ammettere a se stesse, così come ai parenti  e conoscenti, di aver scelto il partner sbagliato, spesso contro il parere sfavorevole dello stesso entourage. In questo modo si cerca di ridurre o annullare il sentimento di fallimento personale legato alle proprie scelte, evidentemente errate”.

Perché alcune donne non riescono a denunciare il proprio carnefice?

“Non amo generalizzare poiché ogni persona – e situazione – differisce dall’altra, ma se debbo pensare a un tratto comune nelle donne – e non solo – vittima di violenza, l’aspetto della dipendenza è quello che riscontro con maggior frequenza. Persone così terrorizzate dall’idea dell’abbandono che, pur di non stare sole, sono disposte ad accettare anche un “accudimento” violento e doloroso, talvolta fino alla propria morte. Non va inoltre dimenticato anche il retroterra culturale/educativo della vittima che spesso gioca un ruolo importante nell’accettazione dei modi del partner”.

Come una donna può essere aiutata a combattere la paura e a interrompere relazioni disfunzionali?

“Credo che un aiuto psicologico/assistenziale e un supporto psicoterapico fornito a vari livelli – sia dai centri antiviolenza che in altre forme istituzionali – possano essere di grande aiuto a chi vive situazioni di vessazione psico-fisica. Ritengo inoltre che occorra ribattere alle violenze con molta tempestività e determinazione, agendo nei primi momenti, senza lasciare che queste situazioni si cronicizzino e denunciando all’Autorità Giudiziaria quanto sta accadendo. 

Spesso, invece, si tende a far passare del tempo per vedere se le cose cambiano ma, solitamente, nulla muta, anzi l’attesa peggiora le cose! Non dimentichiamo poi che molto frequentemente, oltre a persone adulte, all’interno di queste dinamiche dolorose e perverse, sono coinvolti anche minori i quali vivono e subiscono in modo ancor più atroce le conseguenze di queste situazioni”.

Jessica Bianchi

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