Clima: è allarme!

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E’ troppo presto per dire che tempo farà quest’estate ma a preoccupare sono i cambiamenti climatici: “ci dobbiamo abituare a vivere in un ambiente più estremo, e anche mediamente più caldo” sostiene Luca Lombroso dell’Osservatorio Geofisico dell’Università di Modena e Reggio Emilia. In base alle sue simulazioni, senza azioni virtuose di limitazione delle emissioni serra, il riscaldamento aumenterebbe  di quattro gradi e in quel caso il mare potrebbe arrivare fino a Ravenna e Ferrara. Sarà un’estate pazzerella? Altro ci deve preoccupare… E’ bastato un inizio di giugno variabile per scatenare l’inevitabile ridda di previsioni catastrofiche sull’estate alle porte. A riportare tutti all’ordine è Luca Lombroso: “è  impossibile fare previsioni sul meteo dei prossimi mesi” puntualizza sottolineando ancora una volta il vero grande problema: l’emergenza ambientale. Lombroso ha partecipato a Parigi alla Conferenza delle Parti (COP 21) delle Nazioni Unite per il Clima, l’evento dedicato al clima e al riscaldamento globale ed è in uscita il suo ultimo libro Ciao Fossili, Cambiamenti climatici resilienza e futuro nell’era post carbon (Edizioni Artestampa) dedicato al tema della transizione, appunto, al futuro post combustibili fossili alla luce di due importanti novità, l’enciciclica Laudato Si di Papa Francesco e i risultati di COP 21 di Parigi.

Lombroso, la variabilità di questo inizio di giugno potrebbe caratterizzare l’intera estate?

“E’ troppo presto per dirlo. Le previsioni si possono formulare fino a cinque/sette giorni, tendenze indicative possono arrivare fino a otto/dieci giorni e quindi  è impossibile fare una previsione precisa di come sarà la restante parte dell’estate. Negli ultimi anni abbiamo assistito a grandissimi estremi in un verso e nell’altro, con la prevalenza sempre del caldo. Non mi stupirei però di questa situazione di variabilità: è capitato in anni recenti che si siano verificate situazioni di caldo precoce ma il mese di maggio appena trascorso non è stato così anomalo come sembra”.

Ci dobbiamo abituare a un clima generalmente più caldo?

“Ci dobbiamo abituare a vivere in un ambiente più estremo, e anche mediamente più caldo. Negli ultimi anni ci siamo un po’ assuefatti al caldo e consideriamo normale che ci siano 27 gradi già a maggio e a inizio giugno, che però non sono periodi caldi. L’estate meteorologica, lo ricordiamo, inizia il 1° giugno, quella astronomica il 21. Il mese di maggio con 30 gradi fino al 2000 era l’eccezione, non la norma come è stato spesso invece dal 2001 in poi, con anni come il 2006 e il 2009  quando il caldo è stato esagerato e duraturo come nel 2003. Negli ultimi anni, nel mese di maggio non ci sono state particolari ondate di caldo precoce e basta andare solo a  tre anni fa per trovare un mese di maggio più fresco di quello appena trascorso. Certo se guardiamo l’andamento dall’inizio del 2016, qui all’Osservatorio Geofisico del Dipartimento di Ingegneria dell’Università, vediamo che ci sono stati molti momenti caldi, anche lunghi e precoci: addirittura la giornata dell’11 gennaio è stata più calda di alcune di maggio. Si tratta di sbalzi a cui la natura e il corpo umano non rispondono bene”.

In pochi anni ci sono stati cambiamenti climatici evidenti?

“Siamo di fronte a un problema planetario, lo dimostra la recente conferenza di Parigi a cui ho partecipato, ma anche epocale perché è causato dall’uomo e perché il cambiamento avviene in poco tempo. Dobbiamo immaginare che, in linea con i cambiamenti che ci sono stati a livello globale, già dagli Anni Novanta  nel nostro territorio è come se fosse scattata una molla. Siamo entrati in una nuova normalità fatta di temperature mediamente più alte e con un conseguente problema che ormai è vistoso e indiscutibile: l’aumento di frequenza e intensità dell’ondata di caldo estivo e l’andamento anomalo delle piogge per cui  si alternano precipitazioni anche intense a periodi in cui la pioggia manca completamente. Basta andare allo scorso dicembre quando praticamente non è piovuto e poi fra gennaio e febbraio è caduta tutta la pioggia mancata nei mesi precedenti. Quest’estremizzazione (è già un dato di fatto) si ripercuote naturalmente sull’uomo e sulle sue attività ma naturalmente anche sulla flora, sulla fauna, sull’agricoltura e sull’economia perché il turismo vorrebbe situazioni di meteo stabile. Già accetta difficilmente la normale variabilità figuriamoci questi eccessi sempre più frequenti. E’ un po’ per questo che poi si va a cercare come colpevole (che poi colpevole non è) il meteorologo e le previsioni se mancano i turisti nei fine settimana sulle spiagge o sulle piste da sci durante l’inverno. Non è il meteorologo il problema! E non dimentichiamoci che con questi fenomeni estremi non si scherza: si rischia la vita. Lo dimostra ciò che è successo recentemente a Chioggia Sottomarina con un tornado vero e proprio che ha devastato le spiagge”.

Rispetto ai cambiamenti climatici, quanto dobbiamo essere preoccupati da uno a dieci?

“Io direi dieci. E’ positiva la decisione della Conferenza di Parigi ma ora si tratta di attuarla e non solo a livello globale. COP 21 chiede un impegno agli Stati ma anche a livello subnazionale, alle realtà e alle amministrazioni locali. Cito, tra gli esempi, quello che stiamo facendo a Carpi e a Campogalliano come Movimento di Città di Transizione (https://campogallianotransizione.wordpress.com –  https://carpitransizione.wordpress.com), cioè come cittadini che stanno cercando di passare a un’era post carbon, caratterizzata da comunità resilienti”.

Che cosa significa?

“Le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera sono oltre 400 parti per milione ed è un fatto nuovo nell’intera storia dell’evoluzione umana. Le conseguenze non sono ben chiare e solitamente si pensa che sia qualcosa di lontano da noi, un problema di orsi polari. Con il ritiro dei ghiacci del Polo Nord (in queste settimane sono ai minimi storici e addirittura c’è il rischio che questa sia la prima estate che vede il Polo Nord libero da ghiacci) oltre ad aprirsi contenziosi internazionali, per esempio, sulle nuove rotte marine e nelle esplorazioni petrolifere, si verifica un’alterazione della circolazione generale dell’atmosfera. E’ possibile che, in conseguenza della mancanza di ghiaccio al Polo Nord, ci ritroviamo con climi più estremi: inverni anche più brutali e gran caldo improvviso. Tutto ciò perché la mancanza di ghiaccio sostanzialmente va a cambiare la circolazione generale dell’atmosfera. Di fronte a questi rischi, ci sono gruppi di cittadini che dal basso hanno pensato di agire perché i grandi potenti arrivano tardi  e l’azione dei singoli è troppo limitata: nel mezzo ci sono le comunità  che possono affrontare questi problemi di resilienza, cioè la capacità di convivere con un clima più brutale, e sanno come comportarsi quando c’è un’alluvione, un’allerta meteo o un temporale forte. Allo stesso tempo avviano piani di decrescita energetica e di conversione a fonti rinnovabili”.

Questo presuppone però una grande consapevolezza del problema…

“E’ ovvio la consapevolezza è il primo dei problemi e il tempo stringe. C’è da lavorare molto nelle scuole per le giovani generazioni perché sono quelle che vengono coinvolte dalla Conferenza di Parigi: se tali decisioni saranno attuate, traghetteranno la società a qualcosa di diverso e, credo, migliore. Ma allo stesso tempo non dobbiamo illuderci che basti agire nelle scuole perché l’educazione ambientale deve coinvolgere i consigli regionali, comunali, il parlamento e anche i consiglieri d’amministrazione delle aziende”.

E se non faremo nulla a cosa andremo incontro?

“Se nel corso di questo secolo (quindi è una cosa che riguarda i nostri bambini),  non si fa niente si va verso un riscaldamento del pianeta oltre i 4/5 gradi e la Banca Mondiale ritiene questo scenario incompatibile con la civiltà globale interconnessa. Di fatto vaste zone andrebbero incontro al collasso e, come sono crollati l’Impero romano e quello dei maya nell’America centrale, a causa anche di cambiamenti ambientali, così potrebbe capitare anche a noi. Città come New York, Londra e non solo le coste del Bangladesh o piccole isole come le Maldive sarebbero sommerse dall’acqua scatenando ondate migratorie. Sul nostro territorio avevo provato a fare alcune simulazioni: se conteniamo il riscaldamento entro i due gradi di temperatura (meglio ancora 1,5) diciamo che avrebbero dei grossi problemi Venezia (che è quasi condannata) ma anche le zone costiere della riviera, però i danni sarebbero di entità tutto sommato accettabile e potremmo conviverci con resilienza. Se il riscaldamento arrivasse a quattro gradi il mare potrebbe arrivare fino a Ravenna e Ferrara”.

Sara Gelli

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