In viaggio verso il perdono

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Due amiche protagoniste di un viaggio a ritroso da Los Angeles a Mostar, la città della Bosnia Erzegovina dove è nata e cresciuta una di loro, Svjetlana. La donna decide di ritornare nei luoghi da cui è dovuta scappare a causa dello scoppio della guerra civile nel 1992, affrontando un percorso che la porterà a fare i conti con alcune questioni irrisolte della sua vita. Sono queste le premesse dell’intenso film documentario Verso casa della regista Claudia Tosi, rolese di nascita ma carpigiana d’adozione, prodotto da OWN AIR, e andato in onda in prima visione martedì 5 gennaio su Tv2000 nell’ambito della trasmissione dedicata al tema del perdono Beati voi – 70 volte 7 condotta da Alessandro Sortino.
“Il lungometraggio – ha spiegato Claudia – è una sorta di sequel di Private Fragments Of Bosnia, un film documentario che ho realizzato nel 2004 e che raccoglieva frammenti di conversazioni telefoniche tra me e la mia migliore amica Svjetlana, che conobbi nel ‘92, quando appena 22enne si era rifugiata nel nostro Paese per sfuggire alla guerra, e con cui sono sempre rimasta in contatto in tutti questi anni. Dopo l’Italia, Svjetlana è stata in Olanda, Canada e negli Stati Uniti dove si è stabilita da quasi 13 anni, ma prima del 2004 non aveva mai voluto rimettere piede nel suo paese d’origine. Troppo grande il dolore che le provocava. Immaginate di vivere in un paese ateo e multietnico in cui tutti sono amici di tutti, dove i giorni trascorrono sereni e spensierati, abituati ad avere completa fiducia nel proprio vicino di casa e, improvvisamente, vederlo spaccato a metà, divorato da una guerra fratricida che sconvolge gli equilibri interpersonali, compresi quelli famigliari.
E’ ciò che ha vissuto Svjetlana in quegli anni e, come lei, milioni di persone. Con quel film volevo convincerla a tornare a Mostar, e già allora sarei voluta partire insieme a lei ma non era ancora pronta. Quest’anno si è improvvisamente offerta l’occasione di fare questo viaggio. Ho detto a Svjetlana che mi chiedevano di realizzare un film sul tema del perdono e che avrei voluto accompagnarla a Mostar per aiutarla a sentirsi nuovamente a casa lì, per lasciare andare ciò che l’aveva traumatizzata, per vedere se la riconciliazione fosse una strada possibile. A lei interessava fare un viaggio assieme anche se avrebbe preferito farlo altrove ma poi il gioco è diventato realtà e molti nodi sono venuti a galla”.
A quali nodi ti riferisci?
“In particolare al difficile rapporto con sua madre. Prima della guerra erano molto legate, dopo cambiò tutto. Svjetlana non riusciva a perdonarle di avere lasciato per alcuni giorni lei, suo padre e suo fratello da soli per andare dall’unica sorella che aveva quando scoppiò il conflitto armato, proprio nel momento in cui avevano maggiormente bisogno di lei.
Inoltre, proprio a causa di questa sua scelta avventata furono costretti dai militari ad abbandonare il campo profughi e a separarsi. Solo dopo la morte di sua madre avvenuta lo scorso maggio, e il successivo chiarimento con il padre ha capito le ragioni che l’avevano spinta a quel gesto, ed è riuscita finalmente ad accettarlo”.
Come è stato per Svjetlana ritornare sui luoghi a cui sono legati i suoi ricordi più belli, ma anche quelli più atroci rappresentati dalla guerra? E tu cosa hai provato?
“E’ stata molto forte e ha affrontato con coraggio le emozioni che le nascevano dentro. E’ riuscita persino a trovare sollievo alla fine, provando la sensazione che qualcosa di nuovo stesse iniziando.  
Non è l’unica a essere cambiata durante il viaggio. Io credo di aver iniziato a conoscerla davvero per come è ora, e non più come la 22enne che ricordavo. Viaggiare insieme per un mese era una cosa che non avevamo mai fatto. Ci sono stati alti e bassi, conflitti e risate, e anche qualche pianto, ma la nostra amicizia è ancora più solida. E’ stato un viaggio catartico per entrambe, anche se sotto diversi aspetti”.
Come è Mostar oggi?
“Mi piacerebbe dire che tutto è tornato a come prima della guerra, quando era la città balcanica con il più alto tasso di matrimoni misti, ma purtroppo non è così. Mi sono innamorata di Mostar per il suo fascino, frutto di tante culture diverse che hanno lasciato traccia del loro passaggio, e per i suoi abitanti molto simili a noi emiliani nel loro essere gran lavoratori e solari al tempo stesso, ma oggi resta ancora una città socialmente frammentata.  La convivenza è pacifica ma le divisioni sono evidenti. Le nuove generazioni si sono abituate a vivere la loro vita sociale in ambienti differenti a seconda dell’etnia: i croati di matrice cattolica nella zona Ovest e i bosgnacchi di tradizione musulmana in quella Est. Lo storico ponte, simbolo della città, che era stato distrutto nel 1993, è stato ricostruito, ma per riallacciare i ponti fra le comunità serve ancora tempo”.
Chiara Sorrentino

 

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