Nella mente dello psicanalista

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Cosa passa nella mente del vostro psicanalista? Avete mai desiderato dare un senso alle sue indecifrabili note? Oltreoceano il professor Tom Delbanco, docente alla Harvard Medical School, ha progettato OpenNotes, una piattaforma on line che consente ai pazienti di consultare gli appunti sul loro caso presi dal medico che li ha in cura. Il sistema – che coinvolge il Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, il Geisinger Health System di Danville e l’Harborview Medical Center di Seattle – ha l’obiettivo di far sentire i pazienti parte integrante nel percorso di cura: un patto di trasparenza, quello al quale anela il ricercatore americano, che non fa differenza tra le malattie del corpo e quelle della mente. Una “rivoluzione” che ha spaccato la comunità scientifica. Marco Fregni, psichiatra carpigiano, condivide la perplessità di alcuni colleghi americani: “di fronte ad alcune tipologie di patologie psichiatriche, credo che la trasparenza assoluta circa il pensiero del terapeuta – così come la diagnosi – sia controproducente per il paziente. Questi, infatti, potrebbe, a causa della malattia, non accettare la verità delle cose e, di conseguenza, erigere difese e rifiutare la realtà, allungando, di fatto, i tempi della guarigione, laddove questa sia possibile. Pensiamo ad esempio a una persona affetta da un disturbo paranoico: inviarle uno scritto dove si dichiara che soffre di deliri di persecuzione non farebbe, probabilmente, altro che alimentarli.
O, ancora, mettere nero su bianco che un paziente soffre di un disturbo narcisistico, persona quindi scarsamente autocritica, non gli sarebbe di alcuna utilità in quanto incapace di accettarlo”.  Non sempre, quindi, la trasparenza dei pensieri e della diagnosi possono migliorare lo stato emotivo del paziente,  “vi sono persone più vulnerabili che non hanno gli strumenti per affrontare il loro disturbo”.  La terapia è un cammino lento che si costruisce sulla relazione medico-paziente e, aggiunge il dottor Fregni,  “inviare alcune note, necessariamente sintetiche, non può certo sostituire un incontro che dura 40 minuti.  Dubito che questo approccio alla cura possa accelerare i percorsi di guarigione ma sono convinto che, in taluni casi, possa provocare gravi danni”.
In che misura c’è spazio per la condivisione nel rapporto psichiatra e paziente?
“Credo che lo spazio della condivisione sia determinato in primis dalla formazione umana e scientifica del medico e, inevitabilmente, dal tipo di patologia del paziente, dal suo grado di personalità. Chiediamoci: chi abbiamo di fronte è in grado di sopportare la durezza di una determinata diagnosi? Possiede la struttura psicologica necessaria per farvi fronte o la trasparenza totale sulla sua patologia non sarebbe altro che un ulteriore rafforzamento dell’idea di malattia?
A mio parere, ad esempio, prima di esplicitare in tutta la sua gravità una diagnosi di schizofrenia a un giovane, occorrono cautela e riflessione.  Ma gli esempi potrebbero essere molteplici”.
Il concetto di trasparenza che sta alla base del progetto americano potrebbe compromettere un altro elemento estremamente delicato: la tutela della privacy. “Se qualcuno – prosegue  il dottor Marco Fregni – decidesse incautamente di pubblicare on line appunti, annotazioni e cartelle cliniche, le conseguenze potrebbero essere davvero nefaste per i malati. Accanto allo stigma che, purtroppo, ancora accompagna la malattia mentale, si potrebbero generare molti timori e dubbi intorno al paziente, soprattutto in taluni settori pubblici, (sicurezza, sanità),  e questi  potrebbero rischiare di avere complicazioni sul proprio posto di lavoro poiché non più ritenuti idonei”.
Jessica Bianchi
 

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