“Chi si definisce creativo è un cretino”

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“Perché se vi dico che una squadra ha portato via un calciatore bravissimo a un’altra per 12 milioni di euro non battete ciglio, mentre se dico che una scuola ha strappato una bravissima insegnante a un altro istituto per la medesima cifra vi mettete a ridere? Potremo definirci una società civile quando risulterà ridicola la prima ipotesi e normale la seconda”. Non è abituato a censurarsi, Oliviero Toscani, e così non è stato neppure venerdì scorso quando, per il suo incontro – il terzo della rassegna I libri di San Rocco – ha riempito di pubblico Sala Mori. Il fotografo milanese ha raccontato la propria straordinaria carriera artistica, nel corso di due intense ore che hanno spaziato dalla fotografia alla politica, dagli incontri con centinaia di personaggi del calibro di Andy Warhol, Bill Clinton, Lou Reed, Federico Fellini, Mick Jagger, Man Ray ai progetti pubblicitari, dalle copertine delle riviste di moda più prestigiose del pianeta alle campagne di sensibilizzazione su Aids e anoressia, fino alle battaglie contro la pena di morte e a sostegno dei dissidenti politici incarcerati a Cuba. Dialogando con Davide Bregola nella serata organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e San Rocco Arte & Cultura in collaborazione con Biblioteca Loria, Comune di Carpi, Anioc, Cefac e Libreria Mondadori, Toscani ha ribadito più volte come l’arte (“la comunicazione nella sua espressione più eccelsa”) e la libertà siano gemelle: “la creatività non è che la conseguenza di un’estrema libertà, che però si ottiene, paradossalmente, soltanto incatenandosi a un progetto, dedicandovisi totalmente ed esclusivamente, fino a che non si trovi il modo più efficace di esprimersi attraverso di esso”. Chi pensasse che il processo creativo sia solo un passatempo remunerativo, sarebbe in errore. Al contrario, l’arte è una disciplina severa: “Mozart ha composto sinfonie differenti da quelle di Wagner, eppure le note sono sempre e soltanto sette. Bisogna scegliere la propria musica, perché solo essendo se stessi sino in fondo forse si può scovare, nel profondo di sé, qualcosa che possa essere davvero interessante da comunicare agli altri. Ma per ottenere questo risultato non si può agire in uno stato di sicurezza. Al contrario, è proprio nel momento di massima insicurezza che si può creare qualcosa di valido. La ricerca ossessiva del consenso è nemica dell’arte, in quanto conduce alla mediocrità”. E nella mediocrità, per il fotografo milanese figlio di un fotoreporter del Corriere della Sera, è progressivamente scivolato il nostro Paese. La causa? Toscani non ha dubbi. Tra i maggiori responsabili vi è la televisione privata, che è “l’artefice del cretinismo dilagante e della perdita di rispetto per le donne che hanno caratterizzato l’Italia negli ultimi 20 anni. Questo elettrodomestico maledetto, che io non guardo mai, ci ha anche defraudato dell’immaginazione, perché ormai crediamo soltanto a ciò che ci mostra il tubo catodico. Pensate invece a che privilegio poter uscire, in una piazza splendida come la vostra, nella quale venni a fare foto anni fa, e mettersi a sedere a chiacchierare con altre persone, invece di stordirsi davanti al televisore, ognuno in una stanza diversa, a guardare lo stesso programma”. Anche per questo l’Italia ha perso il suo ruolo di primo piano: “siamo ancora qui a parlare di Leonardo e Michelangelo. La gloria più vicina che citiamo è Adriano Olivetti. Scusate, ma con tutto il rispetto per i grandi del passato, io mi sono rotto. Nel frattempo, cosa abbiamo fatto? Cosa abbiamo prodotto? In Giappone ho assistito alle celebrazioni in onore degli Stati Uniti: si citavano Apple, Coca Cola, Andy Warhol. Tutti movimenti, invenzioni e artisti contemporanei. Noi invece commemoriamo il passato perché il presente è desolante”. Se la televisione ha avuto un ruolo nel livellamento verso il basso dei gusti e della cultura degli italiani, il discorso è diverso, invece, per la fotografia: “davanti a un’immagine statica ci sentiamo chiamati in causa. Lo scatto che ritrae un bambino sofferente ci obbliga a sentirci coinvolti in prima persona, a chiederci che cosa abbiamo fatto per evitare quella sofferenza”. Ma non è sufficiente avere una macchina fotografica per comunicare davvero: “chi si definisce un creativo è un cretino. Non ci si definisce artisti, sono gli altri ad apprezzare il tuo lavoro. La vera arte ha come fine l’indagine sulla natura umana. Qualsiasi cosa si limiti ad agire secondo l’estetica, la forma e la moda del momento, è inevitabilmente mediocre. Anche il concetto di ‘bello’, così  come è codificato dai mass media, è una falsità assoluta. Sono gli stupidi a vedere il bello solamente in quello che la Tv gli dice essere bello”. Anche nella sofferenza c’è una bellezza profonda, che è quella dell’uomo che lotta per sopravvivere: “nella Pietà, Michelangelo mostra la peggiore tra le condizioni umane, ovvero una madre che piange il figlio morto. Ma non è forse bella, la Pietà? L’arte, mostrandoci anche i lati più dolorosi della vita, quelli che vorremmo dimenticare, ci aiuta a tentare di comprenderli, e quindi, in fondo, anche a vivere meglio. Soltanto in questo senso accetto l’etichetta di pubblicitario: pubblicizzo la condizione umana, senza censure, da Catherine Deneuve alla carestia in Africa cercando, delle persone, sempre quella cosa impalpabile che sta tra testa e cuore, e che per semplificare chiamiamo anima”. 
 

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