Incastonato in una valle a circa 3.500 metri di altitudine, il Ladakh è un gioiello incontaminato. Un angolo di Tibet, ai confini con il Pakistan e la Cina, dove la natura è la protagonista indiscussa. La grande bellezza vive lì, all’ombra della catena himalayana. Il tetto del mondo. A scoprire quella remota regione, in sella alla sua bicicletta, lo scorso agosto insieme a un gruppo di amici, il carpigiano 52enne Stefano Merzi. Un viaggio di tre settimane denso di emozioni, natura e misticismo. “Il nostro viaggio si è diviso in undici tappe: 635 chilometri pedalati in una decina di giorni. Per me viaggiare in bicicletta non significa cimentarsi in un’impresa stoica, bensì godere della bellezza del paesaggio nel quale sei immerso. Amo pianificare ogni tappa per visitare i luoghi, concedermi tempo per conoscere le persone che si incontrano lungo il cammino. La bicicletta, soprattutto in alcuni luoghi del mondo, è una vera e propria attrazione. La gente, incuriosita, ti avvicina, ti offre cibo, sorrisi. Vicinanza”. Ogni pedalata è stata fatta in quota: “è faticoso, ma tutti possono farcela con un pizzico di preparazione. Il segreto? Imparare a stare sulla sella per ore. E’ il sedere che si deve abituare”, sorride Stefano. Ad animarlo è la voglia di avventura, di conoscenza: “quando inizi a viaggiare in questo modo è impossibile smettere. Non vedi l’ora di scoprire un altro angolo di mondo insieme agli amici con i quali hai già vissuto e condiviso emozioni uniche e straordinarie”. Il primo assaggio della bellezza del Ladakh, Stefano lo ha avuto non appena giunto a Leh, la capitale posta a 3.500 metri di altitudine, dominata dallo Stok Kangri, il seimila che veglia sulla città. “Dopo esserci acclimatati – spiega – abbiamo iniziato a pedalare, insieme a due guide locali, verso il confine pachistano, a ovest. Abbiamo attraversato luoghi di rara bellezza, ammirato monasteri buddisti sperduti tra l’Himalaya e il Karakorum. Abbiamo avuto il privilegio di ammirare la vita nei villaggi d’alta quota e di respirare il clima di pace e condivisione che abita il Ladakh, nonostante qui convivano Buddismo e Islam”. Da Leh, il gruppo si è mosso verso il villaggio di Alchi che ospita uno dei complessi monastici più belli della regione, patrimonio dell’Unesco, risalente all’anno 1000, “nel quale permangono sculture lignee intagliate e decorate, miracolosamente scampate al passare del tempo, grazie al clima favorevole”. Da lì sino al villaggio di Lamayuru, circondato da montagne completamente desertiche, col suo suggestivo monastero aggrappato a uno sperone di roccia e poi veloci verso Mulbeck, “ultimo avamposto buddista, prima di approdare in territori musulmani. Kargil è la prima città sciita che abbiamo incontrato – prosegue Stefano – a soli cinque chilometri dal confine pachistano. Scenari e lineamenti sono mutati all’improvviso: bimbe velate, contadini con le facce asciugate dal sole… gente molto cordiale”. Ed è lì che all’orizzonte iniziano a spuntare le prime nuvole: “in Ladakh, protetto dalla catena himalayana, non arrivano i monsoni ma, sfortunatamente, il clima sta mutando repentinamente e da Kargil in poi la pioggia non ci ha più abbandonati”. Malgrado le strade fangose e il freddo, il gruppo va avanti, verso Parkachik, ma le nuvole basse, nascondono alla loro vista la suggestiva bellezza delle due vette gemelle, Kun e Nun. “Raggiungere la tappa successiva, il monastero di Rangdum, è stata dura, il freddo si è fatto sentire ed eravamo bagnati ma ce l’abbiamo fatta”. Il complesso monastico ospita uno dei presidi medici nati grazie al Progetto Ladakh dell’associazione La casa del Tibet di Votigno di Canossa, fondata dal dentista reggiano Stefano Dallari, e sostenuto dalla Fondazione ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) Onlus.
“A luglio avevamo partecipato a un cicloraduno presso la Casa del Tibet per raccogliere fondi da destinare a Rangdum e volevamo vedere coi nostri occhi quella realtà. Quindi abbiamo guadato un fiume e, completamente congelati, siamo stati ospitati dai monaci. Ci siamo ritemprati e abbiamo deciso, a causa del peggioramento delle condizioni meteo e del conseguente rischio di frane, di tornare indietro, mutando il nostro itinerario”. Un imprevisto che ha però regalato loro la possibilità di varcare, una volta tornati a Leh, il Khardung La, il passo carrozzabile più alto del mondo (5.359 metri) e di ripercorrere una delle più antiche strade carovaniere della Via della Seta. “Un viaggio, questo, che ti entra nel cuore e nelle vene”.
Jessica Bianchi