“Era scritto che l’argine sarebbe caduto”

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Non paura, ma tanta, tantissima rabbia: è questo il sentimento prevalente di Sara Conserva, ventiquattrenne residente con il padre Mario e la madre Patrizia, al secondo piano di uno stabile a Bastiglia. Rispetto al terremoto dell’estate 2012 vi sono analogie e differenze: se le scosse hanno impresso un inevitabile terrore nei cuori di tutti coloro che le hanno vissute, dall’altro la marea d’acqua è stata affrontata con spirito diverso poiché, sin dal primo momento, la gente è stata assistita da Protezione civile ed Esercito. Ma come la rabbia – per le lentezze burocratiche, per i ritardi nella ricostruzione, per le incomprensioni della gravità della situazione da parte dei media – è stata compagna di tanti terremotati nelle settimane e nei mesi seguenti il sisma, così questo sentimento ha animato Sara, superati stupore e sconcerto iniziali. “Era scritto – spiega – che l’argine sarebbe caduto. Quel che fa innervosire è il pensiero che si sarebbe potuto evitare. La sensazione che non mi abbandona è che in Italia si aspetti la tragedia per intervenire. Per non investire il denaro necessario alla prevenzione, ci si trova a spenderne tanto di più dopo, per mettere una toppa”. Ed è in questo sfogo che Sara, come tanti altri in queste settimane, respinge l’immagine, lieta e arcadica, dell’abitante di questi luoghi: “è vero, noi emiliani siamo gente forte, ma questo non può essere l’alibi per abbandonarci a noi stessi. Anche i media nazionali, in assenza di morti e feriti, ci hanno trascurato”. Le sue parole arrivano a emergenza conclusa, quando l’acqua si è ritirata dalle strade, dalle piazze, dalle case e dai negozi dei tanti paesi colpiti lasciando dietro di sé, come ospiti ingrati, fango e devastazione. “La mia famiglia non ha, fortunatamente, subito grossi danni: siamo riusciti a mettere in salvo i nostri mezzi di trasporto (auto e moto) e abbiamo buttato quel che, dal garage, non siamo riusciti a trasportare in un luogo sicuro, come la lavatrice. Ad altri però è andata molto peggio, come coloro che avevano l’appartamento a piano terra o i commercianti che hanno potuto salvare ben poco”. Le peripezie di Sara iniziano, come per tanti altri suoi conterranei,  domenica 19: “mia madre mi ha svegliata dicendomi che una vicina le aveva segnalato problemi legati alla piena del Secchia. Inizialmente, nessuno di noi ha preso la cosa troppo sul serio. Viviamo qui da dieci anni e di piene ‘pericolose’ ce ne sono due volte all’anno. Ma non abbiamo compreso la gravità della situazione anche perché nessuno – titolato a farlo – è venuto a dirci con chiarezza che l’acqua stava arrivando, tanto che abbiamo deciso di andare a pranzo a Modena”.
Poi però, il cellulare di Sara inizia a essere intasato da messaggi di amici e conoscenti che le chiedono notizie sulla propria incolumità e le offrono ospitalità: “a quel punto abbiamo capito che stava succedendo qualcosa di brutto e così, alle 14.30, siamo ripartiti da Modena e, per fortuna, siamo riusciti ad arrivare a Bastiglia sull’argine dei navigli, proprio dietro casa nostra. Siamo saliti mentre la piazza era già allagata e, in una ventina di minuti, intorno alle 15.30, l’acqua era già arrivata a mezzo metro”. A quel punto, Sara e i suoi  genitori non possono far altro che restare affacciati, come tante altre famiglie, alla finestra, a guardare l’ondata avanzare inesorabilmente. “Naturalmente ci hanno staccato acqua e luce, lasciandoci però il gas. Come noi, anche i nostri vicini sono rimasti quasi tutti in casa, con il pensiero che, se ce ne fossimo andati, le autorità si sarebbero occupate con più lentezza della faccenda”. Insomma la famiglia Conserva è rimasta in casa, da domenica 19 al sabato successivo, con l’acqua arrivata, in alcuni punti del paese, a 2 metri d’altezza.
“A parte la mancanza di corrente, il disagio maggiore, nei giorni in cui siamo rimasti ‘assediati’, è stato quello legato alle difficoltà di comunicazione con l’esterno. Devo ringraziare i Vigili del Fuoco dei lagunari di Venezia che sono stati sempre gentili e disponibili: passavano ogni due ore per chiederci se avessimo bisogno di qualcosa o se volessimo un passaggio in una zona asciutta o al centro operativo comunale per ricaricare le apparecchiature elettroniche. Anche la Polizia c’è sempre stata vicino, portando medicine a chi ne aveva bisogno e cibo”. Momenti, quelli del cedimento dell’argine, che questa ragazza porterà sempre con sé. Quando l’acqua se ne è andata, ad attenderla fuori ha trovato un territorio provato, da rimettere in ordine.
Una terra che sta facendo la conta dei danni e chiede a gran voce di non essere dimenticata: “ora viviamo tutti col timore che possa ricapitare” conclude Sara.
Marcello Marchesini
 

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