Siamo tutti colpevoli

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“Don Giovanni è la nostra anima che pulsa verso l’infinito, che mai si appaga, che vuole assaporare la vita con tutta la sua forza giovanile, con insopprimile entusiasmo per la ricerca della bellezza, della libertà, con orrore per la morte, che è limite, costrizione. Nella sfida che oppone alle convenzioni sociali, alle ipocrisie consolidate del proprio tempo, come di ogni tempo, c’è qualcosa d’infantile ed egocentrico, l’incapacità di condividere questo sentimento con il resto dell’umanità, che pure egli ama e difende, quando gli si presenta l’occasione di farlo”. E’ stato il Don Giovanni di Molière, “assertore della libertà per antonomasia” a ispirare Alessandra Gasparini, regista del Teatro della Pozzanghera nella creazione dell’omonimo spettacolo che andrà in scena, ancora una volta, mercoledì 27 novembre, alle 21, al Teatro Eden di Carpi. Un’avventura che vede uniti in un originale sodalizio, attori e coristi: “sempre alla ricerca di nuove sfide – prosegue Alessandra – abbiamo deciso di coinvolgere la Corale Savani, diretta da Giampaolo Violi, eccellente coro del nostro territorio, sempre aperta a nuove esperienze”. Don Giovanni è nato per essere rappresentato in carcere: “ci siamo a lungo interrogati su cosa portare dietro le sbarre e, grazie al suggerimento del giudice Gherardo Colombo abbiamo deciso di concentrarci sul tema a loro più caro, sul desiderio più agognato, la libertà perduta. Affascinati dall’ambiguità e dalle molteplici valenze del personaggio creato da Moliere, abbiamo cercato di interpretarlo e, riflettendo sulla sua vicenda umana, di sviluppare temi a noi cari: la libertà, la sua privazione, l’attesa di un cambiamento o di una condivisione, le diverse interpretazioni della morale, i condizionamenti sociali, il senso del punire e dell’essere puniti, la capacità di perdonare e di salvare l’altro”. Il Don Giovanni interpretato magistralmente dal non vedente Strato Petrucci è un personaggio complesso, sfaccettato, ambiguo. Un uomo generoso col mondo ma incapace di amare una donna: “è innamorato della libertà, dell’esperienza di vivere il mondo – continua la regista – non riesce ad amare un essere individualmente, perché troppe sarebbero le cose e le persone da portare con sè. Donna Elvira e molte altre come lei rimangono vittime inconsapevoli di questo impulso del protagonista a non fermarsi mai, a rincorrere sempre un nuovo sogno, un’altra avventura”. Dice di lui il suo fedele servo Sganarello, portato in scena da un altro non vedente, Leonardo Di Clemente, “Egli è uno sposatore nato”… “Non si può fermare in un sol punto”. Don Giovanni, sul quale non viene espresso alcun giudizio morale, vuol essere sposo del mondo. Condannarlo o assolverlo? Giudicarlo o ascoltarlo? Ed è proprio questa ambivalenza che ha conquistato i carcerati del Sant’Anna di Modena, dove lo spettacolo è già andato in scena due volte. “Non volevamo calarci tra i detenuti ricordando la loro colpa – aggiunge Alessandra Gasparini – al contrario, ci siamo soffermati sulla capacità umana di perdonare, andando oltre i reati commessi. Oltre la condanna”. Donna Elvira, interpretata dalle due giovanissime attrici Nionela Cazacu e Margherita Gera, nel corso dello spettacolo subisce una straordinaria metamorfosi: è lei che incarna il perdono. Tradita, illusa e abbandonata, questa donna riuscirà a liberarsi dell’odio per Don Giovanni, nel nome di un sentimento ben più grande: l’amore per l’uomo. Per l’umanità in generale. Generoso con tutti e impietoso con le donne, il Don Giovanni targato Teatro della Pozzanghera e Corale Savani ha entusiasmato il Sant’Anna: “l’interazione dei detenuti durante lo spettacolo è stata attivissima e partecipata sin dal primo istante. Don Giovanni ha saputo dar voce alle loro emozioni, ai loro vissuti. Si è creata una magia, un’empatia, che in alcuni momenti mi ha persino commosso”, rivela Nionela. “Sono quasi tutti giovani, alcuni giovanissimi – dice Guido Malagoli, esponente della Corale Savani – solo un paio di uomini hanno i capelli grigi. Sui loro visi abbiamo cercato inconsapevolmente i segni della loro innocenza o della loro colpevolezza come se il bene e il male lasciassero tracce del loro passaggio. Sono esattamente uguali a noi, alle guardie, a te e a me, a tutta la gente di questa terra, perché sono persone in carne, sangue e sentimenti. E’ arrivata una lettera? dicono le attrici. C’è ansia e inquietudine nelle loro frasi spezzate dall’attesa. Il pubblico risponde, interagisce con le attrici, risponde al loro posto, terminando le frasi troncate dalla rassegnazione. Quante lettere avranno aspettato invano tra le quattro mura della loro cella, quante volte avranno invidiato il compagno fortunato che s’illumina mentre ghermisce la lettera per timore che svanisca come un miraggio, quante volte avranno toccato quei fogli benedetti e riguardato le parole e le fotografie? Quante volte…”.
Entrare in carcere ha rappresentato per attori e coristi un’esperienza fortissima, “carica di suggestioni e paure. Un momento unico e irripetibile, grazie al quale molti pregiudizi sono caduti”, spiega Strato. Varcare la soglia dell’Hotel Mille Sbarre, come lo chiamano i carcerati, ha ribadito Leonardo, è straniante: “ogni cancello che si chiude alle tue spalle è un pezzo di libertà di cui si viene privati”.
E mentre una coscienza vagante, interpretata da una poliedrica Francesca Battini, si muove sul palco, e circa 25 coristi sottolineano con parole e canti i movimenti degli attori, una domanda sale spontanea: chi siamo noi per giudicare? Cos’è bene e cosa è male? Cosa significano innocenza e colpevolezza?
Jessica Bianchi

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