Come è fatta la birra?

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Dopo aver parlato di storia, falsi miti e utilità, scendiamo ora un po’ nel tecnico per scoprire, in sintesi, come viene prodotta questa bevanda.
Tutto inizia dalla raccolta del cereale – il più usato è l’orzo – che subisce il processo di maltazione durante il quale i grani vengono fatti germinare; in questa fase le sostanze indesiderate si concentrano in un germoglio che spunta dal chicco, il quale verrà rimosso attraverso l’essiccazione e la tostatura del cereale. A seconda del grado e del metodo di tostatura si ottengono malti molto differenti e, di conseguenza, anche diversi colori di birra. Si passa ora alla macinatura del malto: un’azione meccanica atta a rompere in due i chicchi. Ha quindi inizio l’ammostamento: il macinato viene messo in un riscaldatore con dell’acqua e, dopo circa due ore, si ottiene una miscela data dalla scomposizione delle parti del cereale. Il tutto viene filtrato per togliere le bucce rimaste e bollito per avere un mosto limpido con benefici di sterilità, concentrazione delle sostanze zuccherine e agglutinazione delle proteine da separare; durante questa fase – o nella successiva se si utilizza la tecnica del Dry Hopping – all’inizio o verso la fine a seconda del risultato che si desidera, va aggiunto il luppolo, da recuperare una volta esausto. Viene poi la parte più interessante, ovvero la fermentazione: dopo aver ossigenato il mosto, un particolare ceppo di lieviti scelti viene inoculato al suo interno per dare il via a un processo suddiviso in quattro fasi. Latenza: il lievito si adatta alla condizione e inizia a produrre enzimi. Fermentazione tumultuosa: il lievito raggiunge la densità necessaria a innescare la fermentazione vera e propria, gli zuccheri vengono trasformati in alcol etilico, anidride carbonica e alcoli superiori.
Diminuzione della velocità: il birraio interviene per invalidare il lievito in favore della fase successiva. Arresto della fermentazione: il lievito, concluso il suo lavoro, sedimenta nelle birre a bassa fermentazione o galleggia nelle birre ad alta fermentazione (esistono anche birre a fermentazione spontanea, le Lambic, di cui abbiamo già parlato).
La birra già formata viene lasciata a maturare a temperature più vicine possibili allo zero. La prassi industriale comporta un’ulteriore filtrazione e la pastorizzazione, due operazioni che allungano i tempi di conservazione ma, spesso, a discapito della qualità. Il confezionamento, in bottiglia, in lattina o in fusto, può essere isobarico quando avviene una rifermentazione in bottiglia che produce CO2 mentre si dice atmosferico nel momento in cui la birra viene stoccata con anidride carbonica aggiuntiva. Solitamente le birre cosiddette “artigianali” si attengono al primo metodo mentre quelle più comuni e commerciali preferiscono il secondo.
Erik Cantarelli