Salvare la democrazia è affar nostro

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“L’indifferenza è una forma di colpevolezza. Perché si continua a votare personaggi vicini alle cosche o che hanno frequentato personaggi equivoci? Il cittadino non è un investigatore, ma il suo dovere è quello di informarsi. Se vengo a sapere di un ristorante sospetto, sta a me scegliere se frequentarlo o meno. Ovviamente noi giornalisti abbiamo una funzione sociale e una responsabilità: con il nostro lavoro infatti, possiamo contribuire ad aprire gli occhi dei cittadini”. Parola di Giovanni Tizian, giornalista d’inchiesta che, venerdì scorso, ha presentato a Carpi, intervistato dal caporedattore di Radio Bruno, Pierluigi Senatore, il suo secondo libro La nostra guerra non è mai finita. Ospite della rassegna Ne vale la pena – promossa da Radio Bruno in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, Fondazione Casa del Volontariato, Libera, Rock No War, Comune e Libreria Mondadori – Tizian ha ribadito come la lotta alle mafie sia un compito che, in maniera diversa a seconda del ruolo, riguarda tutti. Nessuno escluso. “All’imprenditore onesto – ha spiegato il giovane giornalista che, in seguito alle minacce per le sue inchieste sulle infiltrazioni delle mafie in Emilia Romagna, vive sotto scorta – dico di guardarsi da coloro che offrono prestazioni dal costo inferiore ai minimi tabellari. Al professionista, di esaminare bene le proposte che riceve e le persone che gliele avanzano, non limitandosi a firmare e ratificare cambi di quote societarie senza chiedersi nulla, perché a volte basta una semplice ricerca in Internet per avvertire puzza di bruciato. Al neolaureato che si confronta con la crisi economica chiedo di resistere alle offerte delle organizzazioni criminali che promettono assunzioni a tempo indeterminato”. Insomma, l’esortazione di Tizian è quella di non arrendersi a pigrizia o convenienza, di non accettare verità di comodo, bensì di impegnarsi nella ricerca di ciò che è vero. Giovanni, la verità, ha iniziato a cercarla intorno ai 18 anni. Quella sull’omicidio di suo padre Giuseppe – bancario di origini venete che lavorava in Calabria, alla cui memoria è intitolato il presidio Libera di Carpi e delle Terre d’Argine – assassinato il 23 ottobre del 1989, a 36 anni, mentre rincasava da Locri a Bovalino. Quando il padre viene ammazzato, Giovanni ha solo sette anni: troppo pochi per capire davvero. Per rendersi conto di una perdita che, per lungo tempo, porterà nascosta dentro di sé, come un macigno segreto. “Poco dopo ce ne andammo da quella terra, dalla mia terra – racconta – dopo che anche la fabbrica di mio nonno fu incendiata”. Laureato in Criminologia, e deciso a intraprendere la professione di giornalista, Giovanni decide di aprire il fascicolo dell’inchiesta riguardante l’omicidio del padre, per scoprire poi come le indagini fossero state svolte approssimativamente, in fretta e senza identificare i responsabili. “Guardare le foto di mio padre sfigurato dai colpi della lupara mi ha dato la spinta finale per la mia battaglia per la giustizia, che credo non sia soltanto mia, ma di tutti, perché senza giustizia è la democrazia a perdere. La storia di mio padre è quella di tante vittime di mafia in attesa di riscatto, ma devo dire che, pur non essendo ancora arrivata nelle aule di tribunale, in parte un risarcimento ‘sociale’ è giunto, anche grazie anche ai ragazzi di Libera, che, qui a Carpi, hanno voluto inserire il suo volto nel murale del piazzale delle Poste”. Anche se Tizian si dice convinto che alla fine sarà il Paese sano a vincere la guerra contro le mafie, i segnali provenienti dai nostri territori non consentono certo di abbassare la guardia. “In Emilia Romagna c’è una presenza molto forte di ‘ndrangheta e Clan dei Casalesi. In un periodo di crisi economica come questo, se le banche chiudono le porte in faccia agli imprenditori, le organizzazioni mafiose offrono servizi come il movimento terra e il recupero crediti, molto preziosi in tempi di difficoltà nell’esigere la restituzione dei debiti. Ma sono favori che il mafioso prima o poi chiede indietro”. Per questo il giornalista de l’Espresso e la Repubblica definisce la situazione delle provincie di Modena e Reggio Emilia allarmante. “Molte imprese sono finite in mano alla ‘ndrangheta. Dietro a logiche che possono sembrare legali si nascondono spesso interessi mafiosi. Il procuratore Alfonso parla di radicamento e con questo si intende indicare la presenza sul territorio di strutture che operano in modo indipendente dalla sede d’origine e gestiscono in autonomia affari e traffici”. Il motivo per cui il Nord somiglia dunque sempre più al Sud Italia è da addebitarsi anche alle tante, troppe, complicità dei colletti bianchi, i quali vanno a formare una vera e propria zona grigia tra potere criminale e quello legale. “Senza connivenze con il potere politico e imprenditoriale questo radicamento non sarebbe stato possibile, ma su questo aspetto – conclude Tizian – una riflessione globale ancora non c’è stata”. Per combattere la mafia – e per arrivare forse, un giorno, a sconfiggerla – più che eroi, sembra sottintendere Tizian, occorrono persone normali. Decise, però, a non chiudere gli occhi davanti a chi vuole mangiarsi, insieme a legalità e sicurezza, anche la democrazia.
Marcello Marchesini

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