La burocrazia frena la ricostruzione

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Un anno. Tanto è trascorso da quando ogni certezza è crollata. Dodici mesi di rabbia, lotte e frustrazioni completamente tacitati dai media. Il terremoto in Emilia non c’è mai stato. Gente onesta, gli emiliani. Operosa. Hanno già rimesso le cose a posto. Proprio non san stare con le mani in mano. E’ questo quello che la televisione ha raccontato agli italiani. Sull’inferno in cui sono sprofondate migliaia di persone è stato calato il sipario. Dopo il colpo, violento, inferto dalla natura, il disinteresse dello Stato ha scatenato la rabbia degli emiliani. Qui nulla è più come prima. Il sisma non ha solo fatto crollare case, capannoni, chiese… il terremoto ha raso al suolo la fiducia. Ci ha fatti sentire soli. Abbandonati dal Governo. La solidarietà dei privati, solo quella ci ha dato la forza di rimboccarci le maniche e rialzarci. Di farci forza a vicenda. Coraggio. Ma qui nulla funziona. Dopo gli slogan e le promesse del commissario Vasco Errani, la saga delle ordinanze si è fatta infinita. Una macabra danza degli orrori che ha spiazzato tecnici e progettisti. Nebulose. Incomplete. Le ordinanze per la ricostruzione si sono così susseguite, mese dopo mese, a suon di correttivi. Allungando i tempi e rendendo l’interpretazione dei dettami regionali alquanto aleatoria. Risultato? I piccoli danni sono stati riparati dai privati che, stufi di attendere, hanno messo mano al portafogli mentre coloro che hanno subito lesioni gravissime assistono, giorno dopo giorno, impotenti, allo sfacelo progressivo delle loro proprietà. Sostenuti soltanto dal Contributo di autonoma sistemazione, molti vivono in container, altri hanno cercato un’abitazione in affitto, altri ancora sono ospiti di amici o parenti… da un anno non possono metter piede nella casa acquistata grazie ai sacrifici di una vita o con un mutuo ancora in corso. Non hanno risposte. Non hanno certezze. Il nostro tecnico nel redigere il progetto di ripristino avrà seguito perfettamente l’ordinanza? Quanto impiegherà il Comune – o la Regione se parliamo di un’impresa – per dare o meno l’avvallo? Troveremo un’impresa libera che si sobbarchi l’onere della ristrutturazione? Quanto durerà il cantiere? Saremo risarciti davvero? E, soprattutto, quando potremo rientrare nelle nostre case? Dubbi, domande, quesiti a cui dare risposta. Ma risposte non ce ne sono. Il Comune rimpalla ingegneri e architetti alla Regione che, a sua volta, li rimanda nuovamente al mittente. E tutto si ferma. Ancora. Nessuno offre garanzie né, tantomeno, chiarezza. Le istituzioni si son fatte improvvisamente mute. Muri di gomma contro cui ogni richiesta rimbalza. Inascoltati e privi di risposte, molti nostri concittadini non sanno più a quale santo appellarsi. In un anno ho parlato con tanta gente. Storie di persone che hanno perduto qualcosa. Gente che le crepe dei muri, ce le ha ancora negli occhi. E nel cuore. Qualcosa si è rotto. E non solo dentro di noi. Ad andare in frantumi è stata la fiducia delle persone nei confronti delle istituzioni. Gli emiliani “brava gente” esigono quel che è giusto. Hanno aspettato. Hanno concesso tempo. Ora il tempo è scaduto. I carpigiani, i fossolesi, i roveretani, i novesi… (l’elenco è lungo) sono stanchi di sentirsi presi in giro da uno Stato assente e disattento. Un Governo che ha completamente disatteso le promesse fatte durante le solite parate di circostanza durante l’emergenza. Non vi lasceremo soli avevano detto, per poi venire a riscuoter cassa. E noi le tasse le abbiamo pagate. Con le case spiaggiate, le imprese ferme… al danno, si è così aggiunta la beffa. Molti imprenditori, completamente abbandonati a loro stessi, non sanno come fare a ripartire. Il rischio default, aggravato da una crisi pesantissima, è dietro l’angolo. L’operazione di complicazione da parte dello Stato ha un obiettivo evidente: scoraggiare i terremotati a richiedere il contributo che gli spetta. Ci sarebbe piaciuto avere un indennizzo diretto: avete subito 14 miliardi di danni? Eccoli. E invece no. Oggi lo Stato quei denari sonanti non ce li ha. E allora che fa? Si inventa forme di finanziamento che spalmano il debito in un lungo periodo di tempo. A sfoderare dal cilindro l’asso vincente, ovvero Cassa Depositi e Prestiti, ci ha pensato il Ministro Tremonti col terremoto abruzzese. Modello ora esportato in Emilia. In poche parole nessun denaro liquido è stato iniettato nel sistema bancario per ridare linfa al nostro territorio martoriato dal sisma. Dal 10 gennaio 2013, 6 miliardi sono disponibili presso la Cassa Depositi e Prestiti, ciò significa che le banche possono ora fare richieste sulla base delle disposizioni di pagamento che riceveranno da parte dei Comuni (per quanto riguarda le abitazioni) e dalla Regione (per quanto concerne le imprese).  I cittadini con una casa inagibile devono presentare una domanda di contributo al Comune di residenza, l’accettazione della domanda implica poi la produzione di un ulteriore documento, la cosiddetta Cambiale Errani, che stabilisce che al tal cittadino debba essere corrisposto un determinato contributo. Delle sole Cambiali Errani, le banche non sanno che farsene. Per l’elargizione del denaro occorre infatti un ulteriore passaggio “di mano”. Gli istituti di credito pagheranno le imprese sulla base di una seconda disposizione comunale (o regionale) rilasciata solo quando il cittadino presenterà le prime fatture di pagamento.Ad oggi, ammontano a un numero infinitesimale le procedure avviate attraverso il Mude – la piattaforma telematica tramite la quale i professionisti possono espletare tutte le pratiche edilizie necessarie per gli interventi – per ricevere il contributo. Come mai, nella sola Carpi, a fronte di 3mila abitazioni danneggiate, dopo un anno, non sono nemmeno un migliaio, le richieste di risarcimento? La burocrazia farraginosa legata alle ordinanze sulla ricostruzione e il complesso meccanismo di accesso ai contributi stanno forse disincentivando i cittadini a presentare le domande? Il dubbio sorge. Lecito e vergognoso. I diritti degli emiliani sono stati calpestati. Dicono ci sia un tempo per ridere e uno per piangere. Dopo la rabbia, questo è il tempo della ricostruzione. Dei cuori e dei muri. E quando le crepe saranno scomparse dalle nostre case e le ferite dell’anima meno sanguinanti, allora verrà il tempo della consapevolezza. E saremo più forti. E non ci lasceremo più abbindolare da false promesse e sterili parole. E allora sarete voi, cari politici, a tremare.
Jessica Bianchi

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