Le proteste dei terremotati non si arrestano

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Qualche settimana fa ci siamo soffermati sulle proteste degli abitanti dei Comuni terremotati per i ritardi degli aiuti e dei finanziamenti alle popolazioni colpite e alle imprese per la ricostruzione dei capannoni. Ma anche per i ritardi nell’approntamento di case da offrire agli sfollati, per i disagi delle persone che sono state sistemate in alberghi lontani pur avendo qui i loro beni, il lavoro, le scuole. Ora sono gli stessi sindaci (tutti del Pd) a protestare nei confronti della Regione e del Governo per le tante promesse non mantenute e per le frasi tranquillizzanti, risultate del tutto infondate, del presidente della Regione Vasco Errani quando diceva ,“noi in Emilia siamo diversi e ce la faremo, anche senza prefabbricati”, oppure del premier Monti “non vi lasceremo soli”. Ma a cinque mesi dalla prima scossa la burocrazia regionale e statale insabbia e frena tutto, anche la buona volontà della gente. Tardano i fondi promessi dal Governo Monti, tardano quelli promessi dalla Regione ai Comuni, tardano i proventi delle donazioni e degli Sms di solidarietà e i sindaci si sentono presi in giro e gridano la loro rabbia, come il sindaco di Finale Ferioli, di Cavezzo Draghetti, di Carpi Campedelli, perchè hanno speso fino all’ultimo euro per l’emergenza . Enrico Campedelli non ha potuto esimersi dal protestare, seppure in modo soft visto che il Pd sostiene il Governo Monti e il presidente Errani è del suo stesso partito: “Monti dimentica quante tasse paghiamo noi e quanto Pil produciamo nelle nostre zone”. Non meno arrabbiate sono state le associazioni di categoria per le difficoltà delle procedure di rimborso e di finanziamento, per ottenere dalle banche i prestiti agevolati, il rinvio del pagamento delle tasse e la rateizzazione di dieci anni per le imprese danneggiate. Minacciando lo sciopero fiscale come ha fatto la Cgil. Molti hanno anche criticato l’ordinanza di Errani per i creditori di aziende fallite o in concordato. Chi ha un capannone distrutto potrà ricevere contributi solo se è in regola con gli oneri contributivi, ma molti hanno debiti con gli istituti previdenziali e così non potranno avere aiuti per la ricostruzione, mettendo a repentaglio le imprese e tanti posti di lavoro. Mentre all’Aquila, viene ricordato, sono stati riconosciuti contributi a tutte le imprese, anche a quelle in gravi difficoltà. “Ma in Emilia, pur essendo i più bravi, non riusciamo a dare nemmeno questo a chi ha avuto la fabbrica distrutta”.
E, di fronte a questo stato di cose, si assiste a un florilegio di casi drammatici e a situazioni angosciose che coinvolgono singoli cittadini che non sanno più a che santo rivolgersi per ottenere risposte chiare e aiuti concreti e non le solite promesse di politici e amministratori. E’ il caso di Vittoria Neri e dei suoi genitori di San Prospero che hanno avuto la casa dichiarata inagibile e, dal 29 maggio, vivono in un container offerto loro da un imprenditore amico. “Ci sentiamo trattati come cittadini di Serie B – dicono – perchè almeno in Abruzzo sono stati esentati dal pagamento delle tasse e all’Aquila sono state costruite immediatamente centinaia di case per i senza tetto. Da noi invece nulla di tutto questo e per molti è stata prospettata la via dell’albergo lontano da casa, dal posto di lavoro, dalla scuola”. E c’è anche chi parla di sconforto, di delusione e di amarezza perchè “la politica ci ha dimenticati nonostante le solenni promesse di Napolitano e Monti fatte proprio qui a Mirandola e io e mia moglie siamo ospitati in un albergo dal maggio scorso e non sappiamo nulla del nostro futuro né come e quando verrà ristrutturata la nostra casa”. Anche Maria Teresa Piscopo di Cavezzo, Marisa Carletti di Rovereto e Maurizio Poli di Solara, affermano di non poterne più di essere sfollati in camere di fortuna, lontani dalle proprie cose e dalle loro abitazioni, senza avere prospettive certe e senza che qualcuno mantenga le promesse fatte. Non meno grave e risentito è l’allarme lanciato dalle imprese. Il presidente della Bellco di Mirandola, Antonio Leone, nell’annunciare con orgoglio la rimessa in funzione degli impianti che hanno salvaguardato i 361 posti di lavoro, precisa che il tutto è avvenuto grazie all’impegno dei dipendenti che si sono sobbarcati giorni e notti di lavoro e che i danni subiti, circa 20 milioni di euro, hanno gravato sinora sulle casse dell’azienda perchè di indennizzi non se ne parla ancora”.
“La Regione ha evidentemente fatto male i suoi conti – aggiungono i tecnici e i volontari della Protezione Civile operanti nei comuni terremotati – perchè le case sfitte che si riteneva di trovare non ci sono e il piano sbandierato dal presidente Errani secondo il quale “entro l’autunno toglieremo tutte le tende”, è stato un fallimento. Di tende ce ne sono e ce ne saranno ancora perche sono 1.500 le persone rimaste senza abitazione, molte delle quali si sono arrangiate da sole pagando di tasca propria l’affitto di un’altra casa. Mentre altre 1.200 persone vivono in una stanza d’albergo. Ora sul fronte dei prefabbricati Vasco Errani è costretto a fare marcia indietro ma intanto si sono persi inutilmente cinque mesi”. “Questo ritardo costerà caro – ha sottolineato il sindaco di Cavezzo Draghetti – e il piano Errani non ha proprio funzionato”. Aggiungono i titolari di una ditta di confezioni di Carpi: “Siamo stati costretti ad abbandonare in fretta il nostro appartamento e il nostro magazzino al piano terra e lavorare tutta l’estate sotto un tendone pur di non perdere i clienti. Ma intanto i tempi di recupero dello stabile si protraggono, colpa della burocrazia, delle lungaggini, delle risposte incerte e contraddittorie che arrivano dalla Regione e dal Comune, unite alle difficoltà di accedere al credito bancario. Va bene che noi emiliani ci definiamo più bravi di altri, ma così facendo continuiamo a rimanere soli e qualcuno preso dallo sconforto e dalla rassegnazione, potrebbe buttare tutto all’aria”. Ultima protesta è quella dei parroci, che sono davvero avviliti: “qui nessuno interviene dopo la messa in sicurezza di alcuni campanili e intanto dalle crepe sui tetti comincia ad entrare la pioggia e così si danneggiano altre strutture non crollate, le pareti, gli affreschi, il patrimonio storico e artistico delle chiese”. E incolpano principalmente la Soprintendenza che è in grave ritardo nell’approntare i piani di recupero dei luoghi sacri. Un ultimo commento arriva da San Felice dove i genitori affermano che “l’asilo è stato ripristinato grazie al lavoro e all’impegno finanziario dei genitori e delle famiglie e non certamente per mano pubblica (Comune o Regione) che proprio non si è vista”.
Cesare Pradella

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