Nicolai Lilin: Lo scrittore venuto dalla Transnistria…

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“Quando ho mal di testa, metto un disco d’opera lirica poi smonto le mie armi e mi metto sulla poltrona a leggere la Divina Commedia”. A parlare è Nicolai Lilin, l’autore discusso e controverso de l’Educazione siberiana, uno dei casi letterari più folgoranti degli ultimi anni. Classe 1980, Lilin è cresciuto “in un Paese dove si diventa subito adulti” e si pone quale depositario di un mondo scomparso, quello degli Urka siberiani, la comunità  di “criminali onesti” deportata da Stalin al confine con l’attuale Moldavia, in quella terra di nessuno che è la Transnistria. “La mia vita era là. Con i criminali. E il nostro criminalissimo quartiere era come una grande famiglia”.
Una vita contrassegnata dalla guerra, dalla violenza. Dalla morte. “Il crollo dell’impero sovietico portò fame, ingiustizia, illegalità . Una vera e propria guerra civile. La morte e l’adrenalina della guerra le sperimentai allora, a 12 anni. I nostri nonni dicevano: noi siamo criminali perchè il governo ci ha definiti criminali, perchè al governo non piace quello che facciamo, però noi siamo diversi da tutti gli altri criminali. Noi non derubiamo la gente per strada, noi non violentiamo le donne; contro le singole persone noi non facciamo niente. Perchè la libertà  di una persona singola per noi è una cosa sacra. Noi rapiniamo banche perchè le banche sono proprietà  del governo e ammazziamo i poliziotti, perchè loro sono i cani del governo. Ma questo per noi non è un atto criminale, Questo è un dovere di ogni persona libera. Se loro vogliono definirci criminali noi lo accettiamo. Ma aggiungiamo che noi siamo criminali onesti perchè abbiamo il nostro codice, il nostro comportamento, la nostra morale”. Un codice etico, quello introiettato da Lilin, ancestrale. Primigenio. “A dieci anni ho sparato a un uomo alle gambe perchè spacciava eroina e la nostra comunità, fatta di vecchi resistenti, ne condannava il consumo. Per me era giusto sparare, ero fiero di difendere il quartiere. Ero diventato un uomo”. Per Lilin, raccontare è fonte di sofferenza: “il percorso narrativo è estremamente doloroso per me e per coloro che mi leggono. Mia madre mi dice sempre che i miei libri sono terribili come le soap opera messicane: ogni cinque pagine piange”. Flemmatico, Lilin, sceglie le parole con una cura quasi maniacale. L’ironia è sottile. “Dopo aver partecipato al conflitto ceceno, fatto il mercenario per anni ed essermi arricchito, sono approdato in Italia dove la mia coscienza ha iniziato a farsi sentire. Allora ho pensato di diventare un mecenate e investire in cultura, pensando anche al profitto ovviamente, non per niente avevo una bisnonna ebrea… ma in Italia la cultura non rende nulla, esaurimenti nervosi a parte”. Alla scrittura Lilin giunge per caso, “un amico sottopose alcuni miei racconti a Einaudi che mi chiese di farne un libro. Mi chiedevo chi avessi dovuto imitare: il mio amato Bulgakov oppure Gogol, o Cechov? Poi mi accorsi che sarebbe stato un suicidio. Allora ho pensato di trattare il computer come un amico. Gli avrei raccontato una storia, senza freni. Senza giudizi morali. In un mese è nato Educazione siberiana” che, a breve, approderà  sul grande schermo con protagonista John Malkovich, per la regia di Gabriele Salvatores.
Jessica Bianchi

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