82 azioni delittuose, 23 cadaveri lasciati per strada, centinaia di feriti: questo il tragico bilancio che i cosiddetti banditi della Uno Bianca hanno fatto registrare negli anni della loro attività, dal 1987 al 1994. Operante in Emilia Romagna, la Banda ha il suo nucleo nei fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi – il primo dei quali poliziotto a Bologna – affiancati da altri tre componenti. Sembrava che la vicenda fosse destinata a restare avvolta nel mistero, un episodio curioso di un passato che, in Italia, si dimentica, troppo spesso, con grande rapidità, ancor prima di averlo assimilato. E che la storia fosse piena di incognite lo dimostrano i punti interrogativi che, a distanza di anni, ancora la circondano. Non ultima l’incredibile dinamica che porta alla cattura dei malviventi, avvenuta per caso e grazie a una serie di coincidenze tanto incredibili quanto inverosimili. A fornire una versione alternativa, o meglio a far comprendere come non si sia fatta piena luce sull’accaduto, è Giovanni Spinosa, presidente del Tribunale di Teramo titolare, all’epoca, dell’indagine sui crimini della Banda. L’Italia della Uno bianca è il titolo del libro che ha presentato, giovedì 19 aprile, all’Auditorium della Biblioteca Loria di Carpi, intervistato dal caporedattore di Radio Bruno, Pierluigi Senatore, e affiancato da Lucia Musti, procuratore aggiunto a Modena. Troppe armi, troppe munizioni, troppo sangue. A volte per un bottino di poche lire. Concatenando i fatti l’uno all’altro, quella che emerge è una sconcertante verità: l’azione criminale dei fratelli Savi è stata eterodiretta. Spinosa documenta le voragini investigative, le bugie, i depistaggi operati dai Savi, soprattutto in relazione ai rapporti che ebbero con la criminalità organizzata, cioè con la mafia catanese, con la camorra di Raffaele Cutolo – che trattò con lo Stato per la liberazione di Ciro Cirillo – e casalese. E ricostruisce i numerosissimi interventi della Falange Armata, la misteriosa sigla che, dal 1990 al 1995, segna ogni strage mafiosa e molti episodi misteriosi di quegli anni. “Ma lo sapete che praticamente tutte le auto riempite di esplosivo e utilizzate per gli attentati della mafia del 1993 – Milano, Firenze e Roma – erano Fiat Uno?”. “Alla fine si accettarono le confessioni inverosimili e lacunose dei Savi, poiché si voleva chiudere in fretta la vicenda con dei colpevoli certi – aggiunge Spinosa – per tranquillizzare l’opinione pubblica”. Ma gli anni in cui la famigerata Uno bianca compiva sanguinose rapine ai caselli autostradali e le sparatorie con le Forze dell’Ordine erano gli stessi in cui la mafia corleonese di Totò Riina alzava il tiro, in quello che sta ora venendo alla luce sotto il nome di ‘trattativa’ tra Stato e Mafia. Che la vicenda dei fratelli Savi non sia un fatto criminale isolato ma giochi, nella storia recente del nostro Paese, un ruolo molto più importante e articolato di quel che si pensi? 464 pagine scritte da chi, quella stagione, l’ha vissuta da protagonista, in trincea.
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