Nomadland: un lungo viaggio senza fine

Ancora un colpaccio per la Mostra del cinema di Venezia che ha visto il suo 77° Leone d’oro Nomadland vincere ben tre Oscar. Miglior film, migliore regia e migliore interpretazione a Frances McDormand, la protagonista. Nomadland è ora nelle sale cinematografiche.

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Ancora un colpaccio per la Mostra del cinema di Venezia che ha visto il suo 77° Leone d’oro Nomadland vincere ben tre Oscar in una cerimonia molto sobria e lontana dal tradizionale sfarzo a causa della pandemia non ancora risolta. Miglior film, migliore regia e migliore interpretazione a Frances McDormand, la protagonista. Il film trae origine dal libro-inchiesta della giornalista Jessica Bruder: Nomadland. Surviving America in the Twenty-First Century del 2017 ed è stato fortemente voluto dalla stessa attrice e dalla regista Chloé Zhao, cinese di nascita ma cresciuta a Brighton in Inghilterra e trasferitasi in California per studiare politica e produzione cinematografica. Questo suo terzo lungometraggio insegue la protagonista nel suo spostarsi in lungo e in largo negli Stati Uniti d’America. Fern (questo il suo nome) è una donna sulla sessantina, costretta ad abbandonare Empire, città industriale del Nevada, in cui non trova più speranza, né futuro. Rimasta vedova e senza lavoro a causa della crisi economica, carica tutte le sue cose su un furgoncino che gradualmente trasforma in camper e si mette in viaggio. Quando la incontriamo appartiene già alla comunità di nomadi che vive di lavori saltuari trovati a ogni tappa di un viaggio senza fine. Ci sono però dei luoghi di ritrovo, parcheggi, isole, dove questi “zingari felici” (o anime in pena?) si prendono una pausa, si conoscono, forse si innamorano. In questi luoghi il film sembra arrestarsi e respira il tempo lento di una routine fatta di incontri, parole, sguardi, silenzi. Crepuscoli e tramonti che la natura offre al riposo e allo svago. Il ritmo sembra indugiare, al pari dei personaggi, tra la voglia di fermarsi e quel qualcosa di indecifrabile e misterioso che spinge a ripartire. Sembra voler scongiurare la paura di mettere nuovamente radici. 

La regia fa muovere e agire il personaggio accanto e dentro la comunità dei veri nomadi quasi a voler evocare il cinema neorealista. E traspare sui volti di queste persone il valore e l’importanza di appartenenza a questa strana e mobile comunità. 

Poi il vento di un desiderio inconscio strappa dal passato e rimette tutti in moto. I motori si riaccendono, le ruote mordono nuovi asfalti. Macinando chilometri attraversiamo con Fern altri luoghi stupendi, respiriamo un’aria di libertà velatamente sublime. Ma il viaggio, specialmente quando non conosce il ritorno si presta alla metafora della vita, la cui ineludibile conclusione è tristemente nota. Film davvero molto bello, anche subdolamente inquietante per la profondità delle riflessioni che suscita; immagini che rapiscono per l’incanto della fotografia e il magnetismo della protagonista, la sempre perfetta e senza maquillage Frances McDormand che riconquista l’Oscar dopo averlo ottenuto anche in precedenza per l’interpretazione nel bellissimo Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Occorre aggiungere che il lavoro di preparazione è stato lungo e accurato, fatto di interviste e “convivenza” coi veri nomadi che si spostano nel Far west del XXI secolo. Un lavoro così ben fatto che alla fine Frances McDormand non era più considerata un’intrusa nella sconfinata nomadland.

Ivan Andreoli

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