L’ultimo tabù nel nuovo libro di Salvarani

La domanda su che cosa sarà di noi dopo la morte ha sempre accompagnato l’essere umano nella sua storia. Oggi, ancor di più, la pandemia ci ha ricordato la nostra fragilità e ha rinnovato antiche paure. La morte è parte essenziale del nostro essere umani, con cui siamo tenuti a misurarci ogni giorno. Tutte le tradizioni religiose ce lo ricordano e il nuovo libro del teologo carpigiano Brunetto Salvarani, Dopo - Le religioni e l’aldilà, ne offre una preziosa testimonianza.

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Brunetto Salvarani

E poi venne il Covid-19. Una tempesta assoluta che non solo ha reciso bruscamente innumerevoli vite umane, abbandonate a una solitudine infinita proprio nel tempo del loro venir meno, ma ci ha anche “condannati” a un’incertezza angosciante per il futuro, individuale e collettivo. E dunque, di fronte a un nemico invisibile ma pervasivo e potenzialmente onnipresente, siamo stati catapultati all’improvviso in una società mondiale del rischio, e spinti a familiarizzare con richieste imperiose quali un deciso distanziamento di relazioni e il munirci di guanti e mascherine, per concederci qualche brandello residuo di vita sociale. Obbligati a ridefinire le agende e invitati, se non altro dalle circostanze, a rivedere radicalmente il nostro modus vivendi e le nostre priorità, scoprendoci – assai più di quanto già non l’avessimo intuito – indifesi, esposti, smarriti. Sul piano tanto esistenziale e psicologico, quanto sociale ed economico. Un tempo misterioso, sospeso e denso di chiaroscuri, incapace di memoria e refrattario alla speranza. Vissuto perlopiù in isolamento, con il cuore in gola e il respiro sospeso. Di fronte all’impatto del Covid-19, le religioni – come ogni altra istituzione – hanno mostrato sorpresa, fiato corto e una lungimiranza relativa. Del resto, era inevitabile che fosse così: la pandemia, con relativa quarantena, a ben vedere, oltre a confermare il carattere interconnesso e interdipendente del nostro abitare la terra, non ha potuto far altro che smascherare difficoltà e contraddizioni che, in ambiti diversi, provengono in ogni caso da lontano, ampliandone la portata e facendocele toccare con mano nel nostro affaticato vissuto quotidiano. In questo contesto di smarrimento, funestato dall’irruzione violenta della morte, si inserisce il nuovo libro del carpigiano Brunetto Salvarani, teologo, giornalista, scrittore e docente di Missiologia e Teologia del dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna di Bologna e presso gli Istituti di Scienze religiose di Modena, Forlì e Rimini, dal titolo Dopo – Le religioni e l’aldilà, edito da Laterza. Un testo importante per tutti coloro che condividono la preoccupazione per un orizzonte culturale in cui – oggi più che mai – il futuro sembra essere scomparso. La domanda su che cosa sarà di noi dopo la morte ha sempre accompagnato l’essere umano nella sua storia. Oggi, ancor di più, la pandemia ci ha prepotentemente ricordato la nostra fragilità e ha rinnovato antiche paure. La morte è parte essenziale del nostro essere umani, con cui siamo tenuti a misurarci ogni giorno. Tutte le tradizioni religiose ce lo ricordano e questo libro ne offre una preziosa testimonianza. “Dopo – spiega il professor Salvarani – arriva in libreria a due anni di distanza dall’uscita della mia Teologia per tempi incerti e su richiesta della stessa Laterza. Pur essendo una casa editrice laica e liberale, infatti, ha deciso fare i conti anche con il Fattore R, ovvero le religioni e sono stato ben lieto di proseguire la nostra collaborazione. Dal sisma del 2012 continuo a interrogarmi sulla fragilità di Dio, concentrandomi sul tema della debolezza, dell’impotenza, della fatica, del senso del limite. Confrontarsi con queste tematiche ti costringe, infine, ad arrivare alla questione di fondo, ovvero il morire. Dopo ha l’ambizione di poter interessare anche chi non vive o trova spazio in ambienti religiosi ma, per altri versi, è – credo – più coraggioso, perché affronta l’ultimo tabù rimasto sulla scena della nostra cultura postmoderna, la morte. Di cui non si parla mai volentieri”. Tra gli aspetti più scontati del cristianesimo c’è sempre stata la prospettiva di potersi procacciare una vita migliore nell’aldilà. “Siamo abituati a fare i conti con parole come aldilà, giudizio, inferno, paradiso… ma oggi questo impianto, pur rimanendo formalmente, è del tutto saltato. Cosa rimane oggi, in una cultura postmoderna e post metafisica, dominata dalla scienza e dalla tecnologia, dell’immaginario fortissimo e in qualche modo tracciato dalla potenza della Divina Commedia dantesca? L’odierna eclissi dei novissimi, ovvero delle cose ultime, quelle finali e definitive, ha comportato una vera e propria rimozione della morte. La vediamo rappresentata quotidianamente, eppure fatichiamo a gestirla. A nominarla. Siamo incapaci di abitare il silenzio, la perdita e il vuoto. Abbiamo perduto le parole e non sappiamo più esercitare, per così dire, la difficile arte del congedo e non solo quello definitivo, rispetto a un defunto, bensì complessivamente: non siamo in grado di lasciare, di mollare la presa”, prosegue Brunetto Salvarani.

Tutte le religioni hanno un denominatore comune: sono nate per esorcizzare la paura della morte e costruire – e promettere – un aldilà migliore. Ma oggi ha ancora senso il cristianesimo in una situazione in cui gli antichi novissimi sembrano assenti? Quale messaggio rimane? Può darsi un cristianesimo non religioso proponibile all’uomo moderno? “L’ambizione di questo libro – sottolinea l’autore – è quella di avviare una riflessione profonda sul senso del morire. Tra le pagine troverete molte domande, anche scomode, e poche risposte. Non ho scritto un testo di tanatologia, al contrario queste pagine parlano del nostro desiderio di vivere e rimandano al tema della fedeltà alla vita, alla terra. Abitiamo una realtà in cui la morte viene accantonata, nascosta. Non sappiamo più nemmeno come raccontarla ai nostri bambini. E questo accade perché non siamo più una comunità civile, è venuto meno il senso di comunione che dovrebbe unirci. Confido, anche se non sono molto ottimista, che questa pandemia ci aiuti a comprendere meglio come siamo fatti, a farci confrontare col limite, con la nostra data di scadenza e, a rinnovare in ciascuno la propria voglia di vita. Insieme”.

Jessica Bianchi

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