“La sfida è difficile, ma noi ci siamo”

“Nulla sarà più come prima, A partire dai nostri gesti quotidiani”. Sono queste le parole che ricorrono maggiormente nelle riflessioni del sindaco di Carpi Alberto Bellelli circa il futuro che attende tutti noi. Un domani all’insegna della convivenza con un virus che ha rimesso in discussione ogni cosa, a partire dalle relazioni sociali. Che ci obbliga a “prudenza e responsabilità” ma che, al contempo, ha più volte ribadito il primo cittadino, “è un’occasione per ripensare e rilanciare la nostra città, in ogni sua componente”.

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Il sindaco di Carpi Alberto Bellelli - Ph Giulia Mantovani

“Nulla sarà più come prima e tutto dovrà cambiare. A partire dai nostri gesti quotidiani”. Sono queste le parole che ricorrono maggiormente nelle riflessioni del sindaco di Carpi Alberto Bellelli circa il futuro che attende tutti noi. Un domani all’insegna della convivenza con un virus che ha rimesso in discussione ogni cosa, a partire dalle relazioni sociali. Che ci obbliga a “prudenza e responsabilità” ma che, al contempo, ha più volte ribadito il primo cittadino, “è un’occasione per ripensare e rilanciare la nostra città, in ogni sua componente”.

Sindaco, qual è stato il momento più duro che ha affrontato in questa emergenza?

“Per me leggere ogni giorno durante la diretta quotidiana il numero dei decessi è stato – ed è tuttora – terribile. Sapere che quelle persone se ne sono andate senza nemmeno il saluto dei propri cari mi scuote nel profondo. Un dolore e uno smarrimento che ho voluto esprimere istituendo il lutto cittadino, un modo per far sentire la mia vicinanza, e quella dell’intera città, a coloro che avevano perduto qualcuno in questa situazione tanto tremenda quanto irreale”.

I due mesi di lockdown che città ci restituiscono?

“Una città che, nella maggioranza dei casi, ha pienamente compreso la gravità del momento e ha capito la portata della sfida collettiva che ci attende. Un altro evento ci aveva già messo duramente alla prova e mi riferisco al sisma del 2012 ma il Covid è andato oltre, poiché ha di fatto reciso quella socialità che da sempre, soprattutto nelle situazioni difficili, ci aveva permesso di affrontare vicini i momenti più duri. Il lockdown ci ha obbligati a mantenere le distanze e a ridisegnare le relazioni in un modo nuovo. Insolito, ma ce l’abbiamo fatta grazie alla tecnologia. Ora la sfida che abbiamo davanti, noi come l’intero Paese, è quella di cambiare le cose, di tenere il filo di un disegno comune, per far sì che l’emergenza sanitaria non si traduca anche in una catastrofe economica e sociale. Spesso si abusa del termine resilienza ma noi, in questo momento, dobbiamo adottare degli atteggiamenti resilienti, il che non significa pensarla tutti allo stesso modo bensì porsi i medesimi obiettivi. Lo sforzo fatto in questi mesi va esattamente in questa direzione: abbiamo individuato i problemi e cercato di approntare percorsi comuni per trovare delle risposte stringenti a bisogni nuovi e crescenti. Il lavoro da fare è ancora molto”.

Quali le difficoltà maggiori che state riscontrando tra i cittadini?

“Prima di essere sindaco sono stato assessore alle Politiche sociali e quindi conosco quali sono le dimensioni del bisogno sociale della nostra città. Quando è uscito il decreto che ha stanziato le risorse per gli enti locali da destinare al sostegno della spesa alimentare mi aspettavo circa 800 domande, ne sono arrivate oltre 1.700. Un numero enorme che racconta un cambiamento sociale importante. Un’altra difficoltà che percepisco forte e chiara è una crescente ansia nei confronti di ciò che verrà, del futuro. Questa situazione ha messo alla prova le persone e molte di loro non si chiedono più quando torneranno al lavoro bensì quanto saranno in grado di resistere. Mettono in discussione la sicurezza della propria occupazione, del proprio progetto di vita… Mi domando poi, da padre, cosa accadrà a questa generazione di bambini e ragazzi a cui è stata tolta ogni occasione di socialità?

Il messaggio più forte che vorrei lanciare è che le istituzioni ci sono. Noi ci siamo! Possiamo guardare insieme al futuro consci che siamo noi a determinarlo, con i nostri comportamenti. Con senso di responsabilità. Tutti dobbiamo cambiare. Non si scappa. Nessuno può esimersi dalla prova che ci attende. E’ vero le difficoltà sono molte e nulla potrà essere dato per scontato. Faremo del nostro meglio”.

Quali invece le istanze che vi giungono dal mondo economico del commercio e dell’impresa?

Il clima caotico che stiamo vivendo, il quale si innesta in un Paese che da almeno 30 anni ha rinunciato a dotarsi di un impianto concreto di politica industriale, può diventare l’occasione per rilanciare un messaggio fondamentale: il ciclo economico è un insieme di filiere da valorizzare nella loro interezza. Non si può più ragionare per singole parti. Il primo decreto di Conte ha spento il motore dell’Italia, ora servono azioni continue e progressive per riavviarlo, basate sulla fotografia in tempo reale del sistema paese.

Non ci si può limitare a chiudere e riaprire un’attività. Non è così semplice. Confrontandomi col presidente di Confindustria Emilia, Valter Caiumi, è emersa una questione a mio parere rilevante: lui non metteva in discussione la chiusure delle imprese quanto quella di tutte le sue componenti. Come si fa a restare competitivi e presenti sul mercato globale se cessa ogni tipo di relazione? Se si ferma la ricerca? Anche il sindacalista Maurizio Landini ha più volte rilanciato la necessità per le aziende di non interrompere i rapporti a livello commerciale e internazionale.

A Carpi commercianti e piccoli artigiani, durante una manifestazione ordinata e civile sotto al Municipio, ci hanno chiesto aiuto e noi abbiamo accelerato al massimo sul fronte della produzione del rendiconto dell’anno amministrativo precedente per capire quante risorse possiamo mettere sul tavolo.

A breve sarà chiaro a quanto ammonterà l’avanzo di bilancio e come Giunta abbiamo deciso di impiegare quelle risorse per sostenere tre macroaree: la copertura dei servizi individuali (dall’organizzazione dei centri estivi al rientro in classe in sicurezza), la domanda sociale per rispondere alle nuove povertà covid e, infine, un sostegno di 1 milione di euro a quei soggetti economici ad oggi tagliati fuori dalle misure del Governo, ovvero commercio e piccoli artigiani.

Sappiamo che è nelle intenzioni del Governo rimetter mano agli ambiti fiscali che interessano questi settori: dalla tassa sui rifiuti a quella sull’occupazione del suolo pubblico, passando per il tema degli affitti. Noi abbiamo dal canto nostro simulato delle manovre di defiscalizzazione in tre ambiti: riduzione dell’Imu sugli immobili per far sì che i proprietari abbassino i prezzi degli affitti, sgravare i commercianti dal pagamento di Cosap e Tari. Qualora fosse lo Stato a erogare aiuti in tal senso, insieme alle associazioni di categoria, decideremo come investire quel milione per aiutare gli esercenti a migliorare i propri negozi anche alle luce delle nuove norme relative a sicurezza e distanziamento.

Molti esercenti il 18 maggio hanno riaperto le proprie attività: nessuno di loro dovrebbe lavorare col pensiero fisso di non riuscire a far fronte al pagamento delle tasse, con la paura di dover lasciare a casa i propri collaboratori. Molti contratti a scadenza non sono stati rinnovati e in tanti, in un silenzio assordante, si sono ritrovati senza un lavoro. Anche di loro dobbiamo farci carico. Per ogni saracinesca che si rialza noi facciamo il tifo”.

Quanto accaduto all’ospedale Ramazzini coi suoi 77 operatori contagiati è l’ennesima dimostrazione della sua inadeguatezza, dal punto di vista degli spazi e della mancanza di protocolli adeguati. La discussione sul nuovo nosocomio si è arenata?

“La discussione non solo prosegue ma la regione ha deliberato nel nuovo Piano investimenti una cifra di 100 milioni per la realizzazione del nuovo ospedale di Carpi, non basteranno certo ma il risultato più importante lo abbiamo portato a casa. Il costo reale dell’opera lo avremo non appena sarà pronto il progetto definitivo dell’Ausl poiché, al momento, in campo vi è solo uno studio di prefattibilità e stiamo vagliando la location più idonea. Il Ramazzini è del tutto inadeguato e non garantisce nemmeno il rispetto dei protocolli più elementari (percorso pulito e percorso sporco) nei vari reparti ed è per questo che realizzare un nuovo ospedale è prioritario.

Nell’attesa (potrebbero passare 5 – 8 anni) però il vecchio non può essere abbandonato a se stesso poiché il rischio è che nel frattempo ci cada letteralmente in testa. Sul fronte Covid, i numeri ci dicono che siamo ancora in emergenza ma che il sistema sanitario non è più a rischio collasso ecco perché, seppure gradualmente e con modalità nuove, sta riprendendo l’attività ambulatoriale specialistica propedeutica sia al riavvio più massiccio delle sale operatorie che alle campagne di screening. Ciò che temo è che il numero inferiore di visite effettuate unitamente al timore di avvicinarsi alle strutture ospedaliere crei un aumento di altre patologie. Un altro auspicio, conscio del fatto che non basta schiacciare un interruttore per spegnere un’emergenza, è che l’azienda sanitaria si attrezzi e in fretta per assicurare standard qualitativi eccellenti. Nulla tornerà come prima. Gli ospedali dovranno cambiare e le forze messe in campo fino a ieri non saranno più sufficienti. Non possiamo certo immaginare di ripartire con le situazioni di sottorganico che registravamo pre covid! Occorrono – e ci aspettiamo – scelte decisionali forti, una diversa organizzazione del lavoro e una dotazione organica rafforzata”.

Nelle Cra – Case residenza anziani dell’Unione delle Terre d’Argine sono morti sinora 17 ospiti. Numeri che raccontano la difficoltà di strutture che non sono nate per fare i conti con malattie infettive, a mantenere il contenimento dei contagi. Nulla sarà più come prima e tutto dovrà essere ripensato a partire dalla filiera dell’assistenza. Come cercherete di far fronte a tale sfida? Come rafforzerete la rete domiciliare?

“Oggi dentro alle Cra ci sono solo ospiti non autosufficienti, persone che fino a 15 anni fa popolavano la Lungodegenza dell’ospedale. Il sistema va cambiato mettendo le strutture nelle condizioni di avere un valore reale sul tema della deospedalizzazione mentre per quelle che rivestono un ruolo di sostenibilità sociale i criteri dell’accreditamento non sono più sufficienti. Un sistema che accredita i posti in base al fabbisogno desunto di un territorio e trasferisce risorse del Fondo per la non autosufficienza ai distretti che fanno programmazione è assolutamente superato: se mi fermo a un meccanismo di questo tipo in città dovrei realizzare 50 strutture mentre oggi le risposte devono essere snelle, flessibili e andare in più direzioni a partire dalla promozione della domiciliarità. Io sono un forte sostenitore della sanità pubblica ma, conscio del camion che sta per investirci, vedi alla voce invecchiamento della popolazione, sulla prestazione sociale penso che tanto si possa fare aprendosi a forme di compartecipazione con l’utenza e con le compagnie assicurative. L’emergenza covid ci ha costretti a un salto di qualità sul tema della medicina territoriale: l’introduzione delle Usca e la cura a casa dei covid positivi alla comparsa dei primis sintomi si sono rivelate scelte vincenti. Lo strumento della telemedicina al domicilio, così come nelle Cra, rappresenta un supporto fondamentale per la medicina territoriale che dovrà essere mantenuto anche dopo la fine dell’emergenza”.

Ha annunciato la nascita di un gruppo di lavoro di esperti in città, tra cui Franco Mosconi, docente di economia industriale a Parma, e il sociologo Massimiliano Panarari, a supporto dell’azione politico-amministrativa. Novità su questo versante?

“Vogliamo creare un gruppo di lavoro, uno spazio libero in cui esperti di vari ambiti si confrontino per offrirci uno sguardo disinteressato sulla città e darci delle indicazioni su quali siano le potenzialità del territorio e come svilupparle. Non solo visioni ma concretezza: dalla sostenibilità economica dei progetti alle relazioni col mondo del credito, passando per un dialogo proficuo con le fondazioni. Nei prossimi giorni ci saranno delle novità”.

A proposito di fondazioni, sono numerosi i fronti aperti con la Fondazione Crc, dalla realizzazione di un Palazzetto dello Sport a quella di un Polo di alta formazione, passando per l’acquisto dell’ex consorzio agrario di via Corbolani… il dialogo procede o l’emergenza covid ha determinato una battuta d’arresto?

“Durante la prima fase dell’emergenza sanitaria ho incontrato il presidente della Fondazione, Corrado Faglioni, per puntualizzare alcune questioni. Entrambi convergiamo sulla necessità di puntare su uno sviluppo integrato del territorio e sulla realizzazione di un Palazzetto dello Sport e di un polo di alta formazione siamo pienamente assonanti. Progetti che devono nascere dopo un dialogo comune e partecipato perché, in caso contrario, lo abbiamo già visto, il rischio di disperdere risorse è alto. Sul fronte cultura, il rapporto con la Fondazione è consolidato, avevamo già stretto numerose partnership: dal Concertone del 25 aprile con Daniele Silvestri al Radio Bruno Estate… purtroppo è saltato tutto, liberando però risorse che oggi devono essere reimpiegate altrove ed è in atto un ragionamento comune”.

Qualche esempio?

“La scuola dovrà darsi nuove regole, noi abbiamo lanciato un segnale, donando numerosi tablet agli istituti superiori, ma è una goccia nel mare. I servizi rivolti agli 0 – 6 anni dovranno essere ripensati e adeguati e confidiamo di avere l’appoggio della Fondazione per poter avere una maggiore potenza di fuoco. Sono inoltre convinto che l’entità del bisogno potrà essere quantificato solo tra settembre e ottobre. Solo allora capiremo chi ce la farà, se qualcuno sarà costretto a chiudere, quante persone perderanno il lavoro, quante associazioni di volontariato sopravvivranno… e dovremo essere pronti, tutti insieme, a fronteggiare quei nuovi bisogni”.

Festa del racconto e Festival Filosofia salteranno?

“La Festa del racconto è stata rimandata mentre sul Festival Filosofia si stanno ancora facendo alcune riflessioni. L’idea è quella di non mollare, di tenere una sorta di filo narrativo perlomeno online, una specie di aperitivo in vista del 2021…”.

In questi mesi la tecnologia è corsa in nostro aiuto, le Pm10 si sono ridotte… pur nella drammaticità del momento che lezione possiamo trarne?

“Ho simbolicamente scritto numerosi appunti di viaggio in questi mesi. Abbiamo scoperto come ci si possa spostare per la città a piedi o in bicicletta, che in molti casi lo smart working è una modalità di lavoro efficiente, che è possibile fare la fila educatamente in attesa del proprio turno per la spesa, che le lezioni a distanza sono possibili… abbiamo inoltre imparato a guardare ciò che ci circonda in modo nuovo dopo averlo fissato per settimane solo dal quadrato di una finestra. Auspico che tutte queste dinamiche, questo patrimonio esperenziale, non vengano dispersi ma che al contrario entrino a far parte della nostra vita quotidiana”.

I Dpcm del Governo sono stati spesso nebulosi e imprecisi. Cosa non ha funzionato e cosa si aspetta dal prossimo futuro dalla politica?

“Quando si vivono periodi di questo tipo non vale la logica del consenso, il solo obbligo delle istituzioni è quello di capire i bisogni, fare delle scelte politiche anche impopolari e spiegarle con chiarezza ai cittadini, in caso contrario la politica abdicherebbe al proprio ruolo. Ci attende una sfida che non ci siamo cercati, ancor più difficile della ricostruzione post bellica. Questo governo di sicuro sul fronte della comunicazione avrebbe dovuto fare molto di più e meglio. Noi amministratori abbiamo assistito, come tutti, alle conferenze di Conte di sabato, in prima serata… per poi esser subissati, ancor prima di avere i decreti in mano, dalle richieste di chiarimento dei cittadini che non avevano compreso cosa potevano o non potevano fare. Un modo di procedere che non condivido e trovo profondamente sbagliato perché mette a rischio la tenuta istituzionale. Aggiungo anche che in emergenza non si negozia: se fai uscire un decreto il sabato sera, ascolti le reazioni della domenica e lunedì inizi a negoziare, si scatena il caos! Sulle prossime scelte mi aspetto in primis chiarezza: chi fa cosa? Ad esempio credo sia un onere dello Stato farsi carico del capitolo ammortizzatori sociali. Chi gestirà invece il rilancio e la ripartenza dal punto di vista delle risorse? Governo o Regioni? Auspico un dialogo profondo tra i vari livelli istituzionali. Per quanto riguarda gli enti locali, noi sindaci chiediamo di essere protagonisti della ricostruzione di questo Paese. Solo chi lo vede – e lo vive – da vicino è in grado di stabilire quali sono le priorità e su cosa investire. Mi aspetto dunque strumenti e non solo risorse: continuo a sentir invocare da più parti il Modello Genova… ma i Piani di investimento dei comuni sono pieni di progetti di manutenzione e cura del territorio e delle sue infrastrutture. I Comuni devono potersi dotare di strumenti che assicurino legalità e velocità: il codice degli appalti che siamo tenuti a rispettare ci avrà difeso dalle infiltrazioni mafiose, certo, ma non ha prodotto risultati! Non ci ha tutelato come committente e abbiamo dovuto fare i conti con numerose aziende fallite o che si sono ritirare lasciando i cantieri a metà. Occorrono chiarezza e strumenti. Sono certo che se la filiera istituzionale (enti locali – regione e Governo) si riorganizza e dialoga si possono ottenere grandi risultati: lo abbiamo già visto dopo il terremoto del 2012, quando tutta Italia ci ha considerati un esempio da imitare”.

Qual è il suo ringraziamento ai carpigiani?

“Ci sono state nottate durante le quali non riuscivo più a rispondere su Messenger ai cittadini, non vedevo più i tasti per la stanchezza e quindi facevo dei vocali, alle 2 del mattino, con la bocca impastata. Ci sono stati momenti in cui la preoccupazione per la mia famiglia saliva e nel frattempo in ospedale ci finivano persone che conoscevo… Ogni volta che mi sono sentito affranto ho però ricevuto un grande affetto. Ho sentito la vicinanza tangibile della cittadinanza. I ringraziamenti e la fiducia dei carpigiani mi hanno dato la forza di cui avevo bisogno e di questo non potrò mai ringraziarli abbastanza. E’ stato incredibile”.

E una tirata d’orecchie?

“Mascherine e guanti non vanno gettati a terra, bensì buttati nel bidone dell’indifferenziato”.

Jessica Bianchi

 

 

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